Il sacro e la secolarizzazione

di Huston Smith
La secolarizzazione – vale a dire il fenomeno in base al quale la società si allontana da modelli, usi e costumi tradizionali, in particolare nella sfera religiosa – è un tema sempre più attuale. Di ciò se ne occupò più di cinquant’anni fa lo storico delle religioni nordamericano Huston Smith in un volume collettivo (The Religion Situation, curato da Donald Cutler). Successivamente sentì la necessità di rivedere il testo e riadattarlo per un volume che raccoglie diversi suoi interventi in merito a esperienze con gli enteogeni – Cleansing the Doors of Perception: The Religious Significance of Entheogenic Plants and Chemical – pubblicato nel 2000. Proponiamo il testo in quest’ultima versione.
Scarica il pdf: Secolarizzazione e sacro
La religione ha perso terreno in modo sorprendente nell’ultimo decennio, almeno agli occhi dell’opinione pubblica degli Stati Uniti. Nel 1957, il 14% di un campione nazionale Gallup era dell’opinione che “la religione sta perdendo la sua influenza”. Nel 1962 la percentuale era salita al 31%, nel 1965 al 45% e nel 1967 al 57%. In dieci brevi anni, la percentuale di americani che vedono la religione in ritirata è quadruplicata, passando da un settimo a oltre la metà della popolazione. Eppure, proprio all’interno di questo decennio di apparente crollo, un acuto sociologo, Robert Bellah, ha osservato che “gli Stati Uniti stanno vivendo in questo momento una sorta di rinascita religiosa”.
La dissonanza cognitiva provocata dalle statistiche Gallup e dalla percezione di Bellah pone il problema di questo testo. Uno dei due si sbaglia, oppure il sacro e il secolare sono collegati in maniera polivalente, così da permettere a entrambi di essere corretti? “Secolare” caratterizza le regioni della vita che l’uomo comprende e controlla, non necessariamente in modo completo, ma (come recita un detto, e qui è esatto) per tutti gli scopi pratici.
Così definita, la secolarizzazione è aumentata costantemente con l’avanzare della civiltà. L’uomo primitivo ovviamente si arrangiava, altrimenti non saremmo qui, ma c’era poco nella sua vita che riusciva a comprendere a sufficienza per esercitare un controllo ben accurato su di essa. Di conseguenza, la sua società era integra e sacra in tutto il mondo. Per i popoli tribali, la caccia e l’allevamento sono attività sacre: i sacerdoti Toda curano i bufali sacri, e i riti totemici legano i cacciatori Arunta alle loro prede in legami che agevolano e legittimano la loro uccisione. Lo stesso vale per la guarigione: i medicine-men sono sia medici che sacerdoti.
Nelle civiltà la situazione è diversa. Anche se leggiamo “In God We Trust” sulla nostra valuta come vestigia o come indice preciso del modo in cui il dollaro è diventato onnipotente, oggetto di culto, le economie occidentali sono diventate completamente secolari. Non comprendiamo appieno il funzionamento delle economie e quindi possiamo controllarle solo marginalmente, ma di certo non imputiamo i loro capricci a Dio, più di quanto (a corto di disperazione) lo implichiamo nella gestione della salute. Lo stesso vale infatti per la medicina. I sacerdoti entrano ora in scena con l’avvicinarsi dell’inesorabile – la morte – e pure la cura delle anime è diventata, attraverso la psichiatria, una ricerca secolare. La politica ha seguito lo stesso percorso. In Cina il processo sta attraversando una fase decisiva, in quanto la pragmatica della costruzione della nazione sfida la Rivoluzione Culturale di Mao Zedong, che era stata concepita in modo ‘teologico’, ma in Occidente la sfida è terminata da tempo. Il Re sacerdote ha fatto la fine del medicine-man. La presunta scoperta (da parte di un astrologo indiano durante la campagna presidenziale del 1964) che Lyndon B. Johnson aveva praticato l’austerità sulle rive del Gange nella sua vita precedente “sconcerta il credere”, come commentò all’epoca un giornale indiano.
Potrebbe sembrare naturale supporre che il sacro (con la progressiva padronanza da parte dell’uomo sui campi della sua esistenza e la conseguente emancipazione di questi dalla protezione della religione) si stia riducendo, diventando residuale, ma dovremmo essere cauti nel saltare a questa conclusione. È vero che il sacro è meno evidente nella vita contemporanea rispetto al passato, ma a questa percezione se ne aggiungono tre, meno evidenti: 1) Persiste più di quanto non sembri; 2) ciò che rimane è duraturo, tanto da non essere destinato a diminuire ulteriormente; 3) al contrario, è probabile che il sacro torni in auge e ci sono segnali che ciò sta già accadendo.
Si tratta di affermazioni controverse, quindi richiedono un supporto. Inizio con alcune considerazioni teoriche e procedo con quelle un po’ più empiriche.
Se il “secolare” definisce le regioni della vita che l’uomo controlla, l’opinione che stia soppiantando il sacro comporta il corollario che la vita sta diventando più gestibile e (se si conduce questa visione al suo limite logico) alla fine diventerà completamente gestibile. In realtà, però, non è affatto chiaro che il controllo dell’uomo sulla vita stia aumentando. Alcune parti della vita sono sotto controllo – le malattie infettive, la mortalità infantile e l’igiene dentale, per esempio – ma è molto lontano da questo fatto la conclusione che la vita, nel suo complesso, sia più sotto il nostro controllo.
Detto ciò, i problemi umani tendono ad essere mercuriali: risolto uno, un altro prende il suo posto. Spesso il nuovo problema viene creato dalla soluzione di quello originale. Eliminiamo le malattie infettive e affrontiamo l’esplosione demografica. Risolviamo la nostra carenza di energia dividendo l’atomo, e, proprio con questo atto, ci viene consegnata la bomba atomica e le scorie nucleari.
Inventiamo i pesticidi e la “primavera silenziosa” (silent spring) ci attende. Un tempo la tecnologia era considerata al nostro servizio, ma ci sono segnali inquietanti che ci stanno portando non sappiamo dove. Nella misura in cui questa paura è giustificata, la tecnologia detronizza il deus ex machina per insediarsi come deus in machina, e l’uomo rimane una creatura come lo era prima. Siamo tornati allo stesso problema generale che abbiamo affrontato quando ci siamo interrogati sulla relazione tra secolarizzazione e sacro. Lì, la domanda aveva assunto la forma: la crescente secolarizzazione diminuisce il sacro? Qui si legge: risolvere i problemi della vita riduce il loro numero o cambia semplicemente le loro caratteristiche?
Inoltre, oltre ad essere irraggiungibile, l’idea di un controllo completo non è nemmeno coerente. L’essere umano è un animale sociale e in questo modo vive come una volontà tra le altre. Nessuna di queste volontà potrebbe diventare onnipotente senza cessare di essere sociale, perché l’esistenza sociale implica necessariamente sia il dare che l’avere. Questo pone “onnipotente” e “sociale” come alternative logiche.
Infine, non solo la nozione di controllo totale è contraddittoria, ma non è nemmeno attraente. Iniziare un’amicizia, per non dire di un matrimonio, con l’intenzione di controllarla significa inquinare la prospettiva fin dall’inizio.
La vita richiede di bilanciare le ricompense del controllo con i doni che ci arrivano attraverso l’apertura e la resa. Quanto più ci ostiniamo a voler fare le cose a modo nostro, tanto più ci chiudiamo nei confronti di virtù e qualità alternative. Se non riusciamo a percepire la virtù insita nella capacità di arrendersi – di arrendersi a un’altra persona nell’amore o nell’obbligo (nel senso di sentire le sue richieste su di noi) – ci aspetta il cinismo.
Questi tre punti si riferiscono alla nostra indagine in questo modo: supponendo che il sacro si trovi da qualche parte all’interno di ciò che eccede il controllo umano, non c’è motivo di pensare che la tecnologia abbia ridotto questo dominio. La vita continua a volteggiare nelle profondità; le regioni degli abissi si sono solamente spostate.
Ci sono nuovi ambienti all’interno di ciò che non controlliamo, dove il sacro potrebbe candidarsi a mostrarsi oggi? Per affinare la nostra ricerca, possiamo notare che il sacro oltrepassa non solo il nostro controllo, ma anche la nostra comprensione. Noi non possiamo controllare il tempo, ma ora che i meteorologi hanno bandito gli dèi della natura, non lo troviamo più misterioso.
Un candidato risiede nelle regioni inconsce della nostra mente. Per definizione, non sappiamo cosa succede lì e chiaramente non lo controlliamo. “Dove c’era l’Es, ci sarà l’Io”, consigliava Freud, e sarebbe stato il primo a insistere su quanto siamo lontani dal raggiungere questo obiettivo, qualora fosse davvero raggiungibile in linea di principio. A queste due caratteristiche dell’inconscio dobbiamo ora aggiungere una terza condizione del sacro che l’inconscio soddisfa: la sua importanza.
Secondo recenti studi sperimentali sul sonno, circa l’80% del tempo in cui i soggetti di sesso maschile sognano, hanno delle erezioni. Se il resoconto è accurato, fornisce un supporto sperimentale a ciò che sospetto sia vero in generale, ossia che l’inconscio si trova vicino alle sorgenti della nostra vitalità.
Incomprensibile, indomabile e importante: questi sono i segni autentici del sacro e l’inconscio li possiede tutti. Dopo una conferenza che mia moglie psicologa ha tenuto alla Graduate Theological Union di Berkeley, la prima domanda che le è stata posta da uno studente di teologia è stata la seguente: “Ora che abbiamo Jung, abbiamo bisogno della religione?”. E Ronald Laing, direttore della Langham Clinic for Psychotherapy di Londra, sostiene che in alcuni casi la psicosi è uno stato mentale in cui le risorse religiose dell’inconscio possono emergere con insolita immediatezza. La nostra mente inconscia detiene il potere di vita e di morte, la salute psichica e la follia, che è una sorta di morte psichica, con la depressione grave che si colloca nel mezzo. Ci poniamo in relazione ad essa come a una creatura, e una ragione sufficiente è che (come osservato) resta insondabile: i suoi pensieri non sono i nostri pensieri e le sue vie non sono le nostre vie, dove “nostre” si riferisce a ciò di cui siamo in un consapevole possesso. Oggi gli esseri umani non sono sensibilmente aperti al divino in alcun ambito, ma l’inconscio fornisce un luogo continuo per il suo ingresso. Questo spiega in parte l’impatto sorprendente che l’induismo e il buddhismo hanno avuto sull’Occidente, in particolare sui giovani occidentali, per il simbolismo religioso asiatico – “Atman è Brahman”, “ognuno di noi possiede già la Mente di Buddha” – che meglio si adatta alle epifanie della nostra mente inconscia, più facilmente di quanto non faccia l’immaginario giudaico-cristiano, che tende a raffigurare Dio come esistente al di fuori di noi.
Oltre all’inconscio, c’è una seconda frontiera in cui il sacro mantiene i suoi diritti di fronte alla continua secolarizzazione; si tratta delle relazioni interpersonali, quel terreno altamente sfuggente, infido e potenzialmente sublime in cui due o più persone si incontrano e si scambiano parole e sentimenti.
L’importanza di queste relazioni non ha bisogno di essere discussa. Ci creano e ci sostengono, ma abbiamo visto che l’importanza da sola non rende sacro qualcosa. Le relazioni personali sono sempre state importanti, ma in passato hanno fornito meno aperture per il divino perché erano meno problematiche. Nelle società tradizionali, la maggior parte degli uomini e delle donne vive tutta la vita in un unico gruppo primario, i cui membri si conoscono intimamente e per tutta la vita.
Queste comunità durature non prevengono l’infelicità, ma risparmiano ai loro membri i disturbi più profondi che compaiono quando la comunicazione si interrompe seriamente: solitudine, isolamento, confusione di identità e timore esistenziale. Poiché la nostra società è diventata impersonale, questi malesseri sono con noi. Le famiglie americane ora cambiano residenza attraverso i confini di uno Stato in media una volta ogni cinque anni e, ovunque vivano, di solito lavorano altrove. Di conseguenza, ci si conosce solo: a) per periodi della vita e b) negli aspetti del sé – nei ruoli, come marito, professionista, cliente, utente, elettore.
Questi sviluppi hanno prodotto nelle società industriali una sorta di crisi della comunicazione; le relazioni personali, pur continuando ad essere essenziali, sono diventate precarie come non è mai stato prima. Questa combinazione di importanza e fragilità offre uno spazio per il divino, soprattutto quando a questi due attributi si aggiungono l’imprevedibilità e il mistero che accompagnano gli incontri profondi tra le persone. Un’anima sensibile come Martin Buber ha percepito questo aspetto e ha scritto un trattato per i nostri tempi, Io e Tu, in cui sostiene che Dio vive, a livello profondo, proprio nell’intersezione delle vite. I gruppi di incontro (T-Groups, Sensitivity Training Groups) forniscono un’altra prova che il rapporto interpersonale è diventato un’area in cui il sacro può emergere oggi.
La scorsa estate ho condotto in India un seminario composto da donne universitarie, sedici americane e sedici indiane. Le americane hanno trovato gli esercizi relativi ai gruppi di incontro più rischiosi e più importanti rispetto alle indiane, le quali (ancora nutrite da relazioni primarie relativamente strette e stabili) hanno dialogato tranquillamente come se ciò riguardasse il loro comportamento normale. Gli occidentali possono apprezzare o sentirsi minacciati dai gruppi di incontro, ma quasi sempre trovano l’esperienza differente. Inoltre, tende ad essere importante, per alcuni l’esperienza più importante della loro vita. Il corso del gruppo diventa imprevedibile e incontrollato con una dozzina di anime indipendenti ed emotivamente cariche. E la traiettoria del gruppo sfida la comprensione; vi sono momenti in cui succedono così tante cose, a così tanti livelli, interpretate in maniera così divergente dai presenti, che si guarda al gruppo con occhi di follia, perché manca totalmente qualcosa che si avvicini a una comprensione oggettiva di ciò che sta accadendo. Tutti e tre i prerequisiti del sacro sono presenti. Non è quindi una sorpresa trovare dalla penna di uno degli esponenti più esperti di gruppi di incontro un articolo dal titolo “La formazione alla sensibilità come esperienza religiosa”. Quando – scrive James Clark – per quaranta o cinquanta ore ci si confronta in modo complesso e profondamente umano con quasi una dozzina di altre persone in un cerchio senza compiti imposti in cui infilarsi, senza gerarchie che vincolano, contengono e ritualizzano, il più delle volte ci si espande. Una persona sperimenta i limiti che lui e l’ambiente hanno imposto e va oltre. Sapendo ciò che non si può dare, si è in grado di offrire quello che si può dare. E sapere cosa si può dare porta a comprendere dove ci si trova nell’universo e a vivere un’esperienza autentica di valorizzazione di tutti gli esseri umani, l’esperienza mistica, profonda, religiosa ed espansiva di sapere che “nessun uomo è un’isola”.
A proposito di un gruppo di incontro presso il Tavistock Institute in Inghilterra, Margaret Rioch scrive: “Tutti, credo, hanno subito un cambiamento di rotta verso qualcosa di ricco e strano, qualcosa che rasenta il sacro”.
Nel considerare l’inconscio e le regioni interpersonali della vita umana come due luoghi aperti al sacro oggi non ho intenzione di trascurare o sminuire i luoghi a cui si pensa per primo, ossia le chiese, le sinagoghe e posti simili, che sono nati per fare spazio al sacro. Si tratta piuttosto del fatto che, spinti come sono da correnti incrociate di ogni sorta, le religioni istituzionalizzate presentano oggi una scena così intricata che ho deliberatamente deciso di escluderle dalla considerazione in questo saggio. Un giorno potrei affrontare la loro situazione, ma a questo punto i miei pensieri sono troppo indefiniti e contrastanti per venire pubblicati.
Con tale riserva, nella parte finale del presente saggio mi rivolgo alla modalità regolare con cui il sacro si annuncia – le rivelazioni – per chiedermi se oggi si verificano meno rispetto al passato.
Le rivelazioni, conosciute anche come epifanie o teofanie, sono manifestazioni non annunciate che pongono le cose sotto una luce diversa. In quanto tali, sono conformi ai tre segni del sacro su cui ho lavorato: non sono soggette al nostro controllo, portano il marchio dell’importanza e superano la nostra comprensione.
La genuinità di ciò che rivelano – sono rivelazioni autentiche o solo invenzioni soggettive? – non può essere determinata in modo oggettivo e le immagini utilizzate per descriverle sono varie. Alcuni destinatari riferiscono di essere stati trasportati in un altro mondo, più importante, come narra S. Paolo quando racconta di essere stato rapito fino al terzo cielo, dove vennero rivelate cose che non gli fu concesso di riferire.
Altri trovano messaggeri che si presentano in questo mondo come angeli. Altri ancora non parlano affatto di altri mondi, ma piuttosto di parti di questo mondo che vengono rimodellate in modi che ora hanno un nuovo senso.
Le rivelazioni possono essere terrificanti, ma in quanto portatrici di nuovi modelli, recano felicità di un tipo che si differenzia da quella ordinaria per le indicazioni che chiedono di aggiornare le nostre considerazioni sulla vita e sul mondo. Le epifanie più intense sono quelle che sopraggiungono nei momenti di oscurità e di angoscia. La felicità che queste portano ha fatto guadagnare loro un nome distintivo – beatitudine – la cui caratteristica distintiva è il suo aspetto paradossale. La beatitudine è paradossale perché risplende nell’oscurità che resta visibile mentre la luce la permea. Comprendere appieno questo fatto significa trovarlo non solo sorprendente, ma sbalorditivo; è un affronto alla logica umana. La pace che arriva quando abbiamo fame e troviamo il cibo; quando ci sentiamo soli e troviamo un amico; quando siamo malati e sentiamo che la salute ritorna – queste felicità sono comprensibili. Ma la beatitudine è la pace che arriva quando queste risoluzioni non si verificano. Arriva – o può arrivare, non c’è nulla di inevitabile – quando tutte le opzioni sono esaurite e la vita ci stringe alla gola. Potrebbe essere la morte di un figlio, una malattia incurabile o l’insorgere della cecità. Queste cose accadono e ci fanno desiderare che la vita sia diversa, che si presenti a noi in una veste diversa. Ma questo è il modo in cui si è avvicinata a noi e non abbiamo altra scelta che accettare la sua visita come parte della nostra identità da quel momento in poi.
La domanda di questo saggio, il cui focus è sulla scena contemporanea, è se la nostra epoca secolare sia visitata meno frequentemente da epifanie rispetto alle epoche precedenti, ma il fatto che continuino a verificarsi è incontrovertibile. Sulla mia scrivania c’è il resoconto di una casalinga di New York che, nel bel mezzo di una profonda depressione causata dal suicidio di sua sorella che ha lasciato tre figli orfani di madre, ha trovato la sua depressione improvvisamente alleviata e sostituita da un’inspiegabile serenità che accoglieva piuttosto che cancellare la chiara consapevolezza di tutto ciò che era accaduto. Trovo tali risoluzioni anche nei resoconti di Sidney Cohen sui pazienti terminali affetti da cancro, che sotto LSD continuano a sentire il loro dolore, ma in un modo che ormai non ha rilevanza, in quanto è pienamente inserito in una prospettiva cosmica:
Il dolore è cambiato. So che quando ho premuto qui ieri, provavo un dolore insopportabile. Non riuscivo nemmeno a sopportare il peso di una coperta. Ora premo con forza – fa male, fa male eccome – ma non viene percepito come terrificante.
E questo:
Potrei morire ora, in silenzio, senza lamentarmi, come quei primi cristiani nell’arena che devono aver visto i leoni mangiare le loro viscere. Vedo che anche le morti difficili devono essere sopportate. Come le nascite difficili, fanno parte della vita. Quando morirò non sarò ricordato a lungo – non ho molti amici e quasi nessun parente. Non ho realizzato molto, non ho figli, niente. Ma anche così va bene.
Diverse rondini non fanno primavera, ovviamente, e non conosco alcun modo per passare da controlli a campione, come quelli forniti, a conclusioni statistiche sui nostri tempi. Nei suoi studi empirici sulle peak experiences, Abraham Maslow ha scoperto che tali esperienze sono praticamente universali – quasi tutti i soggetti studiati hanno riferito di averle avute – e che, in una misura che come ricercatore lo ha sorpreso, tendevano a descriverle come religiose. Ma cosa dobbiamo fare di questa scoperta? Disperando di giungere a una conclusione quantitativa, ripiegherò su supposizioni, che iniziano osservando che le rivelazioni hanno due poli: un emittente (sia esso personificato come Dio o circoscritto allo stato di cose che viene rivelato) e un destinatario. Le modalità di pensiero secolari possono ostacolare i destinatari di oggi, inducendoli a ignorare le indicazioni che altrimenti potrebbero prendere sul serio, ma c’è un altro modo di vedere la questione, e dedicherò il resto di questo saggio a descriverlo.
Se l’uomo è in effetti un essere teomorfo, come sostengono tutte le religioni storiche, l’immagine di Dio è il fatto più importante per noi. È logico che questa componente non si sottometterà senza resistenza all’ingabbiamento in una visione secolare. Se esiste davvero sarà come un pupazzo a molla che preme costantemente sul coperchio per aprirlo e uscire.
Sono impressionato dalle prove che vedo a sostegno di questa visione del sé. Equiparando il secolarismo allo scetticismo, pensiamo che la nostra sia un’epoca scettica, ma sono giunto a mettere in dubbio tale equazione. Con le credulità new age che stanno esplodendo dappertutto, la nostra epoca scientifica, high-tech e in qualche modo secolare, potrebbe rivelarsi in realtà come una delle epoche più credenti della storia. Gli oggetti della fede sono cambiati, ma la fede rimane saldamente al suo posto.
Mi spiego. L’anno scorso, mentre insegnavo per un trimestre a Santa Barbara, sono stato invitato a casa di una famiglia che avevo conosciuto in Messico diversi anni prima. Nel corso della serata era emerso che una sorella era completamente coinvolta nel circolo di Los Angeles della Società Internazionale di Meditazione di Maharishi Mahesh Yogi, mentre la figlia liceale era in fermento all’interno del gruppo locale della Soka Gakkai. Poi, tornando a casa, mi sono fermato a fare benzina e ho trovato l’addetto alla stazione di servizio che stava studiando il Buddhismo Zen di D. T. Suzuki. In una sola serata avevo conosciuto sei persone, tre delle quali erano coinvolte – due in modo molto profondo – con la religione in forme che sfuggono ai soliti sondaggi di opinione.
Per evitare che l’episodio precedente venga scartato in quanto sarebbe proprio quello che ci si potrebbe aspettare in California, scelgo il mio prossimo episodio dall’ordinario New England. Due anni fa, un gruppo di otto studenti del M.I.T. ha formato un gruppo di apprendimento e discussione e mi ha chiesto di essere il loro istruttore. Riguardava un progetto di studio indipendente che gli studenti avrebbero dovuto condurre da soli, mentre il mio ruolo si doveva limitare a quello di consulente. Attratti dal pensiero asiatico, iniziò in maniera tutto sommato rispettabile, con testi cinesi e indiani, ma con il passare delle settimane e l’emergere dei veri interessi degli studenti, il programma iniziale cominciò a vacillare e ad arrovellarsi, fino a quando mi ritrovai a chiedermi se continuare a svolgere il ruolo di sobrio professore o diventare un antropologo e osservare le modalità dei nativi. Perché erano molto più vicini ai modelli di pensiero dei nativi che a quelli dei positivisti scientifici. Alla fine l’antropologo che era in me ha trionfato sull’accademico, perché ho trovato affascinante la finestra che si apriva su questa mentalità strana e (nel senso tecnico, antropologico) piuttosto primitiva. Non ricordo l’esatta progressione degli argomenti, ma era più o meno così: iniziando con la filosofia asiatica, si passava alla meditazione, poi allo yoga, poi allo zen, poi al Tibet, successivamente al Bar do Thodol, al tantra, alla kundalini, ai chakra, all’I Ching, al karate e all’aikido, alla dieta macrobiotica yin-yang, a Gurdjieff, a Meher Baba, all’astrologia, ai corpi astrali, alle aure, agli UFO, ai tarocchi, alla parapsicologia, alla stregoneria e alla magia. E, alla base di tutto, ovviamente, le droghe psichedeliche. Gli studenti non si trastullavano con questi argomenti. Usavano droghe; mangiavano riso integrale; meditavano per ore; prendevano le loro decisioni in base all’I Ching (considerato da uno studente la scoperta più importante della sua vita); elaboravano esperimenti elettronici per dimostrare che i loro pensieri, attraverso la psicocinesi, potevano influenzare direttamente la materia.
E non erano plebei, figli dei fiori di Haight-Ashbury. Erano intellettualmente aristocratici con i più alti punteggi matematici del territorio, punteggi da Ivy League, con due o tre anni di formazione nelle scienze al M.I.T.. Non ho modo di sapere che cosa abbiano imparato nel corso del semestre. Quello che ho imparato io è che la mente umana è pronta a credere a qualsiasi cosa – assolutamente qualsiasi cosa – purché offra un’alternativa alla prospettiva meccanomorfa desecolarizzata della scienza oggettiva. Alcuni potrebbero vedere la lezione come un insegnamento che non va oltre la misura della credulità umana, ma io la vedo in modo diverso. Se il meccanomorfismo è la verità, allora il procedere a tentoni degli studenti non rivela altro se non la riluttanza umana ad accettare quei vincoli. Ma se la realtà è effettivamente sacra, le spinte frenetiche degli studenti suggeriscono qualcosa di differente. Nelle questioni di spirito, il soggetto e l’oggetto si mescolano eccezionalmente: niente fede, niente Dio; niente risposta, niente rivelazione. Ne consegue che il sacro dipende molto dal naso dell’essere umano. Con un fiuto appassionato verso la ricerca, come quello dei miei studenti, se il sacro indugia negli interstizi della vita contemporanea verrà scovato.
Ancora. La credulità non è limitata ai giovani. Tornando recentemente in aereo da Chicago a Boston, mi sono trovato seduto accanto a un professore di fisica. Discuteva di fisica con interesse, ma di dischi volanti con passione – una fede appassionata. Gli UFO non sono di certo esemplari ideali del sacro, ma lo influenzano in virtù del risveglio di sentimenti numinosi, perché se dovessero esistere, probabilmente sarebbero stati costruiti da creature più avanzate di noi. Quindi, sono più che un rompicapo. Sono strani.
Passando dagli aneddoti personali al mondo in generale: il fatto che il Giappone sia la nazione più alfabetizzata del mondo e la più industrializzata dell’Asia, non ha impedito a più di cinquecento nuove religioni di sorgere lì dopo la Seconda Guerra Mondiale.
La fantascienza è in piena espansione e solo in parte l’esplorazione spaziale ne è la causa; possiamo tranquillamente ribaltare la questione e dire che la volontà di trascendere il mondano ha alimentato l’esplorazione spaziale. In passato, questa volontà, lavorando sull’immaginazione, ha prodotto il romanzo gotico con le sue incursioni non conformi all’andamento naturale delle cose. Ha anche prodotto lo spiritismo e il suo interesse per i fenomeni che non sono né chiaramente naturali né chiaramente soprannaturali. Oggi la fantascienza, soprattutto se situata nello spazio, come in Guerre Stellari, realizza la stessa trascendenza immaginativa fantasticando incontri con esseri naturali ma trans-terrestri. Il soprannaturalismo mitologico e psicologico è sostituito da un naturalismo trans-terrestre e misterioso.
Per concludere: la polarità del sacro e del secolare continua a mantenere il suo posto tra i potenti opposti che attraversano la vita: sistole e diastole, azione e riposo, libertà e forma, forza centrifuga e centripeta, yang e yin. Se l’uomo è di fatto homo religiosus, è per natura vulnerabile alle visite trascendentali, suscettibile alle intimazioni dell’Alterità nei punti sottili che ci separano da un Altro che ci avvolge. Secondo questa lettura, quando il 57% del pubblico americano afferma che la religione sta perdendo la sua influenza, si dovrebbe dire che la religione istituzionalizzata sta perdendo la sua influenza in alcune aree della vita in cui la sua presenza era più evidente. Ma poiché la religione istituzionalizzata non è la religione nella sua totalità, il fatto che il sacro si sia ritirato da alcune sfere non dimostra che come fenomeno spontaneo stia diminuendo. Robert Bellah potrebbe avere ragione nel rilevare negli Stati Uniti, in questo momento, una sorta di rinascita religiosa.
Traduzione di Federico Battistutta
Huston Smith (1919-2016) è stato docente di studi religiosi presso diverse università statunitensi, come il Massachusetts Institute of Technology-MIT o la University of California di Berkeley. Ha scritto saggi di grande successo, tra cui, tradotti in italiano, Le religioni del mondo (2011) e Verità dimenticate (2023).
Parole chiave: sacro, secolarizzazione, Huston Smith, nuove spiritualità