Eroe culturale e trickster nella mitologia nordamericana

di Géza Róheim [1]

 

I trickster simbolizzano il processo di crescita nell’individuo. La caratterizzazione della psicoanalisi per cui essa prende una persona “dall’infanzia all’età adulta” è certamente valida per questi esseri mitici. La domanda rimane non risposta: cosa c’è di specificamente nordamericano in tutto questo? Perché Coyote è l’eroe davvero popolare? Perché vi è un così forte elemento dell’osceno, del proibito o del contrario in questi esseri? E perché un piacere vicario in queste narrazioni?

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Qui il link all’introduzione di Lorenzo Curti: https://collettivotrickster.net/introduzione-al-saggio-di-roheim/

 

Una combinazione o un antagonismo di eroe culturale e trickster è caratteristico della mitologia nordamericana. Uno degli eroi trickster più ampiamente conosciuti è Coyote. Nel 1931 ho trascritto un lungo mito Yuma di Kokomat e Coyote. Kokomat, il dio creatore, è stregato da sua figlia e sta per morire (motivo incestuale). La cremazione avrà luogo il giorno seguente. Suo figlio Coyote viene mandato a dire alla gente che la cremazione sarà l’indomani. Egli sta pensando alle cose dette da suo padre negli ultimi momenti di vita: “Quando muoio tu prendi il mio cuore (iwam me thauka) e sarai felice”. “Prendi il mio cuore” significa “segui la mia strada” – ma la gente sa che Coyote l’avrebbe presa alla lettera. 

Lasciando da parte gli altri importanti dettagli del mito intendiamo enfatizzare solo il messaggio frainteso.  Ciò che Coyote avrebbe dovuto fare sarebbe stato acquisire un super-io per essere come suo padre. Invece egli prende le cose alla lettera – o dovremmo dire su un livello arcaico o fantasmatico? Gli schizofrenici ci dicono frequentemente che hanno mangiato qualcuno o che qualcuno è nelle loro viscere, ma non sono capaci di seguire le orme dei loro padri. Freud ha descritto il meccanismo della formazione del super-io come introiezione, ossia: ingoiare, mangiare, mettere dentro (Freud, 1977: 142-143). [2]

In questa situazione, parte dell’aggressione deve essere rivolta all’interno e un’altra parte invece sublimata come identificazione o imitazione. Questo è esattamente ciò che Coyote e eroi trickster simili non riescono a fare; sono esseri senza un superio. Coyote prova a imitare il suo ospite e fallisce. Frequentemente l’imitazione è associata con il dare da mangiare a degli ospiti; ossia provvedere per i bambini ed è qui dove Coyote e Corvo falliscono. [3]

“Dapprima tirò su il punteruolo. Ma quando Nanabushu afferrò la presa del palo della loggia non ebbe tanto successo nei suoi sforzi di scalarlo e solo dopo molto tempo fu capace di salire sopra il palo trasversale. Poi, afferrando entrambi i testicoli con le mani, riuscì ad afferrare saldamente il punteruolo e quindi disse ‘affonda, affonda, affonda’. Puntò i suoi testicoli, li trafisse e cadde con un colpo nel centro del fuoco – la caduta lo uccise” (Jones, 1917-1919: 347).

Secondo Freud, l’angoscia di castrazione conduce alla formazione del super-io – e qui possiamo osservare il fallimento nella formazione del super-io e il passo regressivo verso l’autocastrazione e la morte. Ma questa definizione negativa è solo il primo passo. Sappiamo che Coyote e simili personaggi mitologici sono caratterizzati dall’assenza di un super-io.
Secondo Reichard, Coyote aveva aiutanti che potevano prevedere il suo comportamento. Quando arrivava a un’impasse, li evocava. “Nessuno dei miei informatori ha potuto (o voluto?) dirmi esattamente cosa fossero quegli aiutanti. Rispondevano sempre ‘Quella è la parola del Coyote’. I Thompson e altre tribù Salish attribuiscono poteri speciali agli escrementi del Coyote. Dall’evidenza linguistica io sospetto che i quattro poteri siano escrementi, testicoli e pene” (Reichard, 1947: 98-103). Gli Apache Chiricahua raccontano la seguente storia: “Coyote ebbe un rapporto sessuale con una ragazza che sedeva sul suo pene. Lei raccolse una roccia e con questa colpì il Coyote. Questa è la ragione per cui il prepuzio va all’indietro” (Opler, 1942: 53-54).

È l’eroe fallico che libera il Salmone. Egli diventa un bambino e lascia che egli stesso sia adottato da una delle donne che possiede una diga. In alcune di queste storie, egli pratica semplicemente un foro nella diga attraverso la quale l’acqua irrompe insieme al salmone, in altre fa lo stesso con la donna che possiede la diga, ossia ha un rapporto sessuale con lei. In un mito Coeur d’Alene, Coyote sta nuotando in un fiume. Ha sentito dire che la gente sostiene che non possono mangiare salmone perché la diga è chiusa e quattro ragazze cannibali rifiutano di lasciar passare il salmone. Reichard elenca molti parallelismi da un complesso di motivi. La liberazione del salmone, la trasformazione dell’infante e il coito con le ragazze che possiedono la diga o il coito attraverso il fiume (Reichard, 1947: 98-103). È evidente che l’apertura della diga con il salmone che nuota fuori da essa è la nascita – e chi se non l’eroe fallico potrebbe penetrare la resistenza femminile e la diga (inibizione) e portare tutte le cose buone del mondo all’umanità!

Ma l’eroe culturale è anche il bambino. Un potente capo teneva in una scatola la luce del giorno, il sole e la luna, e la scatola si trovava nella sua casa. Il Corvo voleva liberare la luce del giorno. La figlia del capo venne ad attingere dell’acqua. Egli gli chiese di sposarla ma lei lo rifiutò. Allora il Corvo si trasformò in un ago di pino e cadde nell’acqua, che lei bevve. Rimase incinta del Corvo e dette alla luce il Corvo stesso. Il bambino crebbe rapidamente e il suo nonno lo amava molto. Dopo qualche resistenza il bambino ottenne la scatola che pendeva dal soffitto. Finalmente il nonno permise al bambino di sbirciare nella scatola. Poi venne aperta sempre di più finché il bambino nella forma del Corvo non volò fuori con la scatola (Boas, 1895: 173, 208, 211, 246, 272 e 291).
Ma se la luce del sole è portata al mondo da un piccolo bambino e questo avviene quando l’eroe bambino può aprire una scatola e uscire fuori dalla casa, possiamo interpretare senza problemi  il mito come avente il significato che ogni bambino porta luce nel suo proprio mondo quando nasce. Il corvo porta la luce del sole, il bambino vede la luce del sole. Il Corvo (o qualsiasi altro eroe mitico) vaga dando nomi a luoghi – il bambino impara i nomi dei luoghi. L’eroe mitico è il prototipo di come sono fatte le cose. Così fece il Corvo – è la risposta di Tlinkit a ogni problema (Krause, 1885: 253-254). Da questo punto di vista l’eroe culturale significa semplicemente il processo della crescita. Ogni essere umano è il suo proprio eroe culturale; ossia deve crescere per acquisire la cultura del gruppo in cui vive.
Se consideriamo il mito dell’eroe culturale come autobiografico non possiamo mancare di vedere che la storia della crescita ruota attorno tre motivi significativi: (1) la lotta con il padre, (2) l’incesto, (3) l’angoscia di castrazione.
Nel mito Chippewa, a Manabozho la Lepre (Hiawatha nel poema epico di Longfellow) viene detto da sua nonna che suo padre, il Vento dell’Ovest, ha ucciso sua madre perché è morta dando vita a lui. Segue la ben nota scena di battaglia. Mudjekeewis è vulnerabile tramite una pietra nera, Manabozho apparentemente da una canna. Ma quest’ultimo è solo uno stratagemma e il figlio conduce suo padre, il Vento dell’Ovest, alla fine del mondo, infliggendogli duri colpi con la pietra nera. “Aspetta!” grida “mio figlio, tu sai il mio potere e che è impossibile uccidermi. Desisti e darò una parte di potere tanto a te quanto ai tuoi fratelli” (Schoolcraft, 1839: 135; Id., 1856: 18-19).

Qualcuno potrebbe obiettare che il numero di miti nei quali il Padre e il Figlio lottano tra di loro non è così grande. Nella mitologia greca abbiamo un solo Laio ma molte rappresentazioni velate dello stesso tema. In Nord America queste versioni sono spesso velate molto sottilmente. Potrebbero avere qualcosa a che fare con le relazioni umoristiche dove i desideri incestuosi e l’antagonismo sono apertamente rappresentati con suo nonno o qualche altro sostituito e sua moglie come sostituto della madre.
Nella versione Iowa del mito della Lepre, la Lepre nel suo vagare si imbatté nell’Uyo (l’organo femminile del mondo). “Venne a casa e chiese alla sua nonna cosa fosse. Lei rispose ‘quella è una delle tue nonne, stai lontana da essa.’ Lepre disobbedì e fu risucchiato dalla nonna cattiva. La nonna buona lo soccorse, egli coabitò con lei e questa fu l’origine delle mestruazioni” (Radin, 1948: 37,39,105,162). Dal momento in cui ha rapporti con sua nonna, ne consegue che tutti i suoi nemici sono i suoi nonni. Uccide un nonno che tiene con sé il tabacco, poi uccide l’Orso, anch’esso suo nonno (Radin, 1948: 96-97). Nel mito Winnebago, mentre i Gemelli liberano il mondo dai mostri pericolosi, il loro padre è preso dal panico e fugge. [4]

Un altro “motivo” molto frequente in Nord America è la vagina dentata. Le donne hanno denti nella loro vagina, l’eroe rompe i loro denti e rende possibile il rapporto sessuale. Sul Fiume Fraser viene raccontata una storia su alcuni Quals che arrivarono in un posto dove vi era una vecchia donna che aveva denti nella vagina e uccideva chiunque avesse rapporti sessuali con lei. I figli del “Buon Tempo” usarono un martello e ruppero i denti. Se non avessero fatto così le donne avrebbero ancora i denti nella loro vagina (Boas, 1895).

La storia della vita dell’eroe culturale è la storia della vita di tutti, tutti cresciamo e riusciamo a superare il conflitto edipico e l’angoscia di castrazione. Com’è possibile che l’eroe di queste storie mostri tratti evidenti che lo rendono una personificazione del fallo o della libido o dell’Es? Il processo di maturazione è simbolizzato dal Fallo dal momento in cui la libido genitale più di ogni altra cosa aiuta a superare le angosce della situazione orale della diade madre-figlio. Allo stesso tempo, la padronanza del mondo attorno è raggiunta anche crescendo, attraverso l’aumentata abilità di mostrare aggressività. Il Fallo è un’arma e l’eroe trickster è distruttivo sin dall’inizio. Perciò arriviamo alla sorprendente conclusione che l’eroe culturale è l’Es o il principio della vita. Considerando la cultura, come facciamo solitamente, e ciò come un processo di adattamento alla società, dovremmo aspettarci di trovare il super-io in questo ruolo. Comunque, il problema diventa più semplice quando ricordiamo che ‘eroe culturale’ è soltanto un’espressione, e potrebbe non avere niente a che fare con l’origine della cultura che essa in qualche modo mira a spiegare. Questi esseri mitici simbolizzano il processo di crescita nell’individuo. La caratterizzazione della psicoanalisi per cui essa prende una persona “dall’infanzia all’età adulta” è certamente valida per questi esseri mitici. La domanda rimane non risposta: cosa c’è di specificamente nordamericano in tutto questo? Perché Coyote è l’eroe davvero popolare? Perché vi è un così forte elemento dell’osceno, del proibito o del contrario in questi esseri? E perché un piacere vicario in queste narrazioni? La risposta è che gli Indiani del Nord America hanno un super-io forte e il rappresentante dell’Es come eroe è un controbilanciamento alla pressione sociale.

Ora, certamente, quando uso l’espressione “super-io forte” questa è da intendere in senso relativo. Sono repressi, inibiti, ecc, quando confrontati con Australiani, Melanesiani, Somali. Probabilmente non è così se usiamo i sensi di colpa del New England come nostro metro. L’atteggiamento dei genitori è diverso rispetto a quello che accade tra altre popolazioni primitive che ho conosciuto. Le istituzioni che vorrei menzionare in quanto creatrici di un super-io severo sono (a) la cradleboard, [5] (b) il cosiddetto allenamento, (c) l’elaborazione oratoria.

La cradleboard ha recentemente trovato dei difensori che ne approvano l’istituzione. Leighton e Kluckholn sembrano essere piuttosto favorevoli nei confronti della cradleboard sebbene abbiano osservato che: “Dopo circa sei mesi, comunque, l’infante inizia apparentemente a sentire il confinamento come una frustrazione e piangeranno per essere liberati” (1947: 26).
La cradleboard è usata indubbiamente anche come una punizione e per la comodità degli adulti. Grinnell riporta come, se una madre Cheyenne non fosse riuscita a far star zitto il bambino, lo avrebbe legato in una cradleboard e appeso in un cespuglio. Si dice che i bambini Kwakiutl venissero legati per evitare che avessero un’indole selvaggia e vagabonda. Quando venivano liberati dalla culla dopo un anno o circa erano goffi e indifesi come neonati normali di un mese di vita (Petitt, 1946: 12).
Sulla base di questi fatti, siamo tentati di suggerire l’equazione: bambino cullato – eroe vagabondo.

Ciò che io chiamo qui educazione è molto diverso dai soliti modi miti e indulgenti o privi di preoccupazione di altre tribù primitive. Fra i Lummi:

Quando un ragazzo cresce il primo obiettivo di tutta l’educazione è sviluppare nel piccolo ragazzo coraggio e confidenza di fronte ai terrori della natura. Viene spedito in notti molto buie e tempestose a recuperare qualcosa da un vecchio che vive in un luogo remoto. Deve bagnarsi ogni mattina nelle acque ghiacciate dello Stretto di Puget e spesso per punizione è costretto a farlo di nuovo la sera. Viene trattato duramente e discriminato, privato del cibo buono e gli viene dato come solo nutrimento la fine della coda del salmone e la spina dorsale delle anatre. Il padre è così ansioso di sviluppare forza nel bambino che alla più leggera violazione diviene arrabbiato furiosamente. Il padre testa la resistenza del figlio tagliando il suo corpo con pietre affilate. Dopo un’immersione nell’acqua gelida dello Stretto, strofina sabbia sul suo petto per renderlo tenero o addirittura farlo sanguinare, poi amputa i suoi capezzoli schiacciandoli tra le pietre [Stern, 1934]. I bambini sono gettati nella neve molto presto dai Navaho e probabilmente altre tribù. Fra gli Yuma ho trovato il costume di fare discorsi e dire al figlio che tipo di uomo dovrebbe diventare. Non penso che ai bambini piaccia. Hallowell ci dice che le tribù del Nord Est sono ansiose, inibite e che l’ideale è quello di un forte ritegno e controllo. (Hallowell, 1946)

Nessuno stupore allora che il vero eroe della loro mitologia sia l’Es – sebbene, per preservare l’integrità dell’io, essi fingano di deridere il loro eroe.

Traduzione a cura di Lorenzo Curti.

Note:

[1] In G. Róheim, Fire in the Dragon and Other Psychoanalytic Essays on Folklore, Princeton UP, Princeton 1992, pp. 129-138.

 

[2] [N.d.T.] Cfr. anche pp. 146-149. Freud non aveva ancora elaborato l’istanza psichica del Super-Io ai tempi della pubblicazione di Totem e Tabù.

 

[3] Per esempio, cfr. Cushing, 1890; Boas, 1916: 90.

 

[4] La fusione di infantile e fallico è riconosciuta anche da P. Radin (1948; cfr. anche Róheim, 1948). 

 

[5] [N.d.T.] un tipo di culla portatile utilizzato dai nativi dell’America settentrionale.

 

Bibliografia

Boas, F., Indianische Sagen von der nord-pacifischen Kueste Amerikas, A. Asher & Co, Berlin 1895.

Boas, F., Tsimshian Mythology. Annual Report of the United States Bureau of American Ethnology, 29-1037, Government Printing Office No. 31, Washington, D.C. 1916, pp. 29-1037.

Cushing, F.H., Preliminary Notes on the Origin, Working Hypothesis, and Primary Researches of the Hemenway Southwestern Archaeological Expedition, in «Congres International des Americanistes», 151— 194, 1890.

Freud, S., Totem e Tabù, in Opere, vol. VII, Bollati Boringhieri, Torino 1977.

Hallowell, I.J., Some Psychological Characteristics of the Northeastern Indians, in F. Johnson (a c. di), Man in Northeastern America, Phillips Academy, The Foundation, Andover 1946, pp. 217- 223. 

Jacobs, J., Culture Element Distributions: Kalapuya. Manoscritto inedito.

Jones, W., 1917-1919. Ojibwa Texts, Publications of the American Ethnological Society 7. Leiden 1917-1919.

Krause, A., Die Tlinkit Indianer, H. Costenoble, Jena 1885.

Kroeber, A.L., Cultural and Natural Areas of Native North America, «University of California Publications in American Archaeology and Ethnology», 38, Berkeley 1939.

Leighton, D., Kluckhohn, C., Children of the People, Harvard UP, Cambridge 1947.

Opler, M.E., Myths and Legends of the Chiricahua Apache, «Memoirs of the American Folklore Society» 37, Boston, 1942.

Pettit, G.A., Primitive Education in North America, University of California Press, Berkeley 1946.

Radin, P., Winnebago Hero Cycles, Waverly Press, Baltimore 1948.

Reichard, G.A., An Analysis of Coeur d’Alene Myths, «Memoirs of the American Folklore Society», 41. Boston 1947.

Róheim, G., The Divine Child, «Journal of Clinical Psychopathology», 9, 1948, pp. 309-323.

Schoolcraft,  H.R, Algic Researches, Harper & Bros, New York 1839.

Schoolcraft,  H.R, The Myth of Hiawatha and Other Oral Legends, Mythologic and Allegoric, of the North American Indians, J. B. Lippincott & Co., Philadelphia 1856.

Stern, B.J., The Lummi Indians of Northwestern Washington, Columbia UP, New York 1934.

 

Géza Róheim (1891-1953), psicoanalista e antropologo ungherese, ha svolto attività clinica, praticato ricerca antropologia nei popoli australiani, analizzandone i sogni, ed è stato il pioniere di un’antropologia psicoanalitica. Sue pubblicazioni in italiano: Magia e schizofrenia (1973), Psicoanalisi e antropologia (1974), Origine e funzione della cultura (1972), Gli eterni del sogno (1972), Gli enigmi della sfinge (1974).