Il Trickster di Ròheim

di Lorenzo Curti
Noncurante della legge, violento, caotico, spesso propenso al fallimento, e sempre impegnato in imprese sessuali e dall’appetito insaziabile, il trickster incarna, per i nordamericani, quei valori “sovversivi” che lo rendono un eroe culturale e un attraversatore di confini altrimenti ben definiti e invalicabili (come quello fra vita e morte).
Qui il link per l’articolo di Róheim Eroe culturale e trickster nella mitologia nordamericana: https://collettivotrickster.net/eroe-culturale-e-trickster-nella-mitologia-nordamericana/
Scarica il pdf: Introduzione al saggio di Roheim
Géza Róheim: antropologo-psicoanalista
Il presente saggio, Eroe culturale e trickster nella mitologia nordamericana, [1] che proponiamo qui nella prima traduzione italiana, è quasi un unicum nell’ampia produzione di ricerca di Géza Róheim, psicoanalista e antropologo ungherese. Solo in uno scritto dedicato agli Yurok (Róheim, 1974a: 324-334) contiene dei richiami a miti trickster, che peraltro Róheim riprende anche in questo articolo, riflettendo sulla questione dell’eroe ma non esplicitamente sulla dimensione trickter/trasgressiva. In nessun’altra occasione, come in questo articolo, Róheim si dedica così esplicitamente e puntualmente sulla questione del trickster nordamericano. Sottolineiamo “nordamericano”, perché Róheim rinuncia metodologicamente sin dal primo momento a una logica comparatista (adottata, invece, da Jung e Kerényi) dove è evidente l’interesse di identificare degli analoghi del trickster nella civiltà occidentale (vd. Ermes in Kerényi e la dimensione carnevalesca nello scritto di Jung sull’archetipo del briccone divino) [2]. Questa scelta metodologica, in cui il trickster fondamentalmente viene letto come un fenomeno della mitologia nordamericana e non esteso ad altre mitologie (cosa che viene spesso, più o meno legittimamente, fatta), non può stupire il lettore informato di Róheim. Lo psicoanalista-antropologo, lungi dall’adottare una visione universalista del soggetto, dove esso sarebbe il prodotto di una causazione biologica (filogenetica) o di elementi culturali universali, propone una visione di quella che lui definisce una “interpretazione ontogenetica della cultura” (Róheim, 1973; 1974b; 1975). Essa consiste nell’applicazione puntuale, se non a volte pedissequa, dei concetti della psicoanalisi freudiana (vedremo, in particolare quelli sviluppati in Totem e Tabù, nei Tre saggi sulla teoria sessuale, e in L’Io e l’Es), che però vengono declinati in modo tale da non configurare una teoria onnicomprensiva e universalista dell’essere umano [3]. Per Róheim, infatti, ogni cultura tende a costituire una modalità “educativa”, di crescita dei figli e degli specifici tipi di relazione genitori-figli con relativi tabù annessi. Queste teorie verranno sviluppate da Róheim tramite tre grandi filoni di ricerca: la pratica psicoanalitica (peraltro, fondamentale il fatto che a differenza di molti altri psicoanalisti dell’epoca Róheim si avvicini alla clinica della psicosi, cfr Magia e schizofrenia), lo studio d’archivio etnografico, ma soprattutto le ricerche antropologiche sul campo, in particolar modo in Australia, ampiamente caldeggiate e sostenute economicamente da S. Freud e dal movimento psicoanalitico. Dunque, in Róheim troveremo costantemente riferimenti a concetti classicamente freudiani come “scena primaria” (la scena del coito dei genitori a cui assisterebbero i bambini durante l’infanzia, con effetti traumatici), “il padre primordiale dell’Orda” o nozioni freudiani come la teoria stadiale delle pulsioni (orale, anale, fallica e genitale). Tutti questi concetti, però, verrebbero individuati e declinati in ogni specifico popolo in maniera idiosincratica e differente (ragione per cui, forse, Malinowski non individuò il complesso di Edipo negli abitanti delle Isole di Trobriand volendolo ritrovare tale e quale come l’ha descritto Freud nell’osservazione delle sue pazienti isteriche, mentre Róheim sembra far spuntare l’Edipo ovunque), proprio in rapporto a determinati modelli di educazione che si sviluppano in quella cultura. Come vedremo, infatti, anche in questo saggio Róheim non è interessato a trovare degli archetipi universali o degli elementi trascendentali, quanto a chiedersi “cosa c’è qui di specificamente nordamericano?”. Lungi dal leggere questa come una mera articolazione di un pensiero culturalista, dove la questione sarebbe quella di ridurre le differenze a matrici culturali diverse, il modello metodologico di Róheim sembra puntare più a una sorta di prestrutturalismo o strutturalismo ante litteram. Nel corso di tutta la sua opera di ricerca, infatti, Róheim sembra guidato dall’idea di identificare varianti di miti, rituali e cerimonie e confrontarli con delle tavole in cui vengono mostrate differenze, identità e ripetizioni, e i diversi ordini in cui gli elementi si possono trovare (esemplare di questo metodo è l’utilizzo delle tavole sinottiche in L’enigma della sfinge, cfr Róheim, 1974b: 93-116). Chi conosce il metodo proposto da Lévi-Strauss (1966) in Antropologia Strutturale – curiosamente, in un articolo che tratta proprio le mitologie trickster e dei clown guerrieri nordamericani – saprà che proprio l’antropologo francese aveva proposto un metodo basato sul confronto sugli assi sincronico e diacronico degli elementi minimali del mito (mitemi) che si concretizzava nell’utilizzo di enormi tavole di lavoro (che, drammaticamente, nel caso di Lévi-Strauss potevano diventare stanze di fogli…) (Ibidem: 231-259).
Dunque, mira di Róheim è quella di svelare, a partire dall’articolazione di elementi minimi, la specificità di una ontogenesi culturale.
Vediamo, allora come Róheim ha approcciato la problematica mitologica del trickster e come è riuscito a sfuggire, pur non esaurendo la complessità del tema, ad alcuni rischi in cui sono incorsi altri autorevoli commentatori del mito. Sottolineiamo che il testo viene letto da Róheim nel 1949 al 29th International Congress of Americanists, in un momento di completa elaborazione teorica della sua intepretazione ontogenetica della cultura e a pochi anni dalla morte nel 1953.
Il trickster di Róheim
La posizione di Róheim rispetto alla questione del trickster desta interesse perché sembra rivolgersi ad affrontare la questione in maniera molto diversa da alcuni mitologi a lui coevi, come Pettazzoni o Radin, come evidenziato assai precisamente nell’ottimo lavoro di Silvana Miceli (1984) sulla figura del trickster. Infatti, questi tendono a rappresentare una sorta di “crescita” o di “trasformazione” delle caratteristiche del trickster secondo parametri ideologici, o addirittura morali. In Pettazzoni, ad esempio, è evidente il rifiuto radicale della dimensione più trasgressiva e sessuale del trickster, che invece Róheim cavalca, da buon psicoanalista. Per Pettazzoni, il trickster era originariamente un creatore, uno re degli animali, un dio primitivo, che col tempo è stato modificato e “adulterato” nella versione spuria e “briccona” che conosciamo oggi (Ibidem: 30-31). Diversamente, Paul Radin, a cui si deve la trascrizione dei Cicli Winnebago da parte del suo informatore Sam Blowsnake, mostra l’arcaicità della parte bricconesca e trasgressiva del trickster, per poi mostrare come si sovrapponga a essa, per ragioni storiche e religiose, la dimensione demiurgica e fondatrice (Ibidem: 90-91; Radin, 2006: 128-129). In qualche modo, in questi autori, come in altri, vi è una certa tendenza a una difficoltà ad accettare la compresenza di caratteri paradossali nella figura del trickster e dunque un tentativo di “smembramento” delle diverse caratteristiche. Di queste caratteristiche alcune vengono tenute in considerazione come autentiche, altre bollate come false e spurie. Quello che Róheim fa, pur non ambendo a una lettura globale ed esaustiva del trickster, è proprio il contrario: cioè mantenere insieme i tratti caotici e trasgressivi e quelli creativi-normativi della figura mitologica. O meglio ancora, è proprio tramite la sua dimensione buffonesca-trasgressiva che viene spiegata la dimensione di eroe culturale.
Innanzitutto, è interessante notare come Róheim collochi immediatamente il trickster, cioè, letteralmente colui che “tira scherzi/inganni”, “il truffatore”, nella posizione di eroe culturale dei popoli nordamericani. Róheim è ben consapevole del carattere un po’ paradossale dell’affermazione per cui l’eroe culturale di popoli così ligi alle regole e così “superegoicoi”, per usare un termine che Róheim evoca sin dalla prima pagina, come i popoli nativi del Nordamerica, sia proprio il rappresentante dei comportamenti più caotici, sovversivi e trasgressivi. Vedremo che è proprio in questa premessa di paradossalità che Róheim spiegherà la congiunzione eroe culturale-trickster presso i popoli nordamericani.
Osserviamo, però, quali sono gli elementi che Róheim sottolinea, riprendendo le tesi psicoanalitiche di Freud (e, in filigrana, quelle di Abraham e Klein sul sadismo orale). Innanzitutto, Róheim attinge a piene mani, per questo breve saggio, da due grandi teorizzazioni freudiane: da una parte il mito dell’uccisione del padre dell’orda (che troviamo sviluppato in Totem e Tabù, ma rielaborato, almeno parzialmente, in Mosè e il monoteismo e Dostoevskij e il parricidio), dall’altra le elaborazioni della seconda topica delle istanze psichiche in L’Io e l’Es. Il mito del padre dell’orda consiste nell’idea che la nascita della civiltà corrisponda al momento in cui i fratelli (gli eroi, direbbe Otto Rank) uccidono il padre mitico e fuorilegge che gode di tutte le donne per poter sostituirsi a lui. Il momento di questa uccisione segna però l’istituzione delle leggi e della civiltà (cioè, nel linguaggio freudiano, la rinuncia alle pulsioni e al godimento e dunque… il disagio della civiltà). Innanzitutto qui Freud ripropone la tesi di Robertson Smith sul sacrificio: il sacrificio totemico è una forma di devozione all’animale da cui deriva il gruppo sociale, ma contemporaneamente la ripetizione del peccato originale (l’uccisione dell’antenato primevo). Comunque, nella mitologia, troviamo piuttosto ricorrenti storie di padri divini che godono eccessivamente delle donne e che castrano, da non-castrati, i figli. Basti citare Urano e Crono, ma anche le storie mitiche di Atreo e dei Labdacidi (la famiglia di Edipo che ha dominato Tebe), dove ricorre il divoramento dei figli sotto una veste orrida. Lo stesso Róheim, nell’articolo, non fa menzione di questi miti, pur essendovi una gran presenza di questi motivi nel mondo greco.
Il mito del padre dell’orda viene portato a giustificare due elementi: da una parte l’incapacità del trickster di compiere pienamente il movimento di uccisione del padre e di sua incorporazione simbolica (l’incorporazione che ne fa il trickster è concreta, arcaica, Róheim dice: psicotica) [4]. Dall’altra questa dimensione divorante non è posta solo dal lato del padre dell’orda, ma anche da quella della vagina dentata: luogo della sessualità che diviene di divoramento orale (cfr. sadismo orale in K. Abraham e M. Klein), contro la quale invece il trickster, pur essendone divorato riesce a porre dei limiti e delle barriere, e dunque un effetto di civilizzazione.
Ma a partire da quale posizione, questo essere caotico, spesso al limite della buffoneria o dell’imbecillità (come mostrano gli esempi accuratamente scelti da Róheim nell’etnografia a sua disposizione) può svolgere la funzione di eroe culturale, e dunque, quello di fondatore della civiltà in una cultura così educativamente superegoica come quella [5]? Qui, come dicevamo, Róheim fa esplicito riferimento alla tesi della seconda topica freudiana, dove la soggettività sarebbe suddivisa in Es, Io e Super-Io: l’Es sarebbe relativo all’inconscio rimosso e al tumulto delle pulsioni, l’Io sarebbe quella parte di coscienza che funge da barriera fra il mondo esterno e interno, pur presentando una parte anch’essa inconscia. Infine, il Super-Io, la vera innovazione teorica di questo scritto, sarebbe la parte inconscia del soggetto dove si sarebbero cristallizzate le figure genitoriali come elementi morali, spesso severi e sadici.
Dunque, Róheim prova a rispondere, in linea con la sua “interpretazione ontogenetica della cultura”, utilizzando gli elementi della tripartizione freudiana, per mostrare come il trickster nordamericano incarni tutti quei valori caotici, che Róheim collega all’Es, che andrebbero a contrapporsi alla dimensione fortemente superegoica della cultura nordamericana. Noncurante della legge, violento, caotico, spesso propenso al fallimento, e sempre impegnato in imprese sessuali e dall’appetito insaziabile, incarna quei valori “sovversivi” che lo rendono un eroe culturale e un attraversatore di confini altrimenti ben definiti e invalicabili (come quello fra vita e morte). Infatti, proprio in virtù della dimensione fortemente normativa dell’etica nordamericana, è il caos vagabondo incarnato dal trickster a fungere da destabilizzante incarnazione di una posizione eroica non sostenibile dai membri delle comunità, così come la hybris di Prometeo è teoricamente irripetibile dai greci, come testimonia la costante critica alla hybris nella mitologia e nella tragedia greca. Legami di parentela infranti, incesti praticati con i nonni e incurie nei confronti dei bambini sono alcuni dei tabù spezzati dal trickster. Gli elementi che conducono Róheim a fare diagnosi di superegoicità rispetto alla cultura nordamericana sono relativi alle dimensioni educative: la culla cradleboard, “l’allenamento” (training) alla durezza della vita e la dimensione della produzione oratoria-discorsiva. In particolare è nell’immagine della culla come metodo di “punizione” e di “disciplinamento” dell’infante per evitare che diventi un vagabondo che Róheim individua un elemento centrale dell’educazione superegoica che produce un eroe culturale opposto al modello culturale in un’equazione simbolica: bambino cullato (Super-Io) → eroe vagabondo (Es).
Eroe vagabondo, la cui dimensione aggressiva e violenta viene ampiamente riconosciuta e sottolineata da Róheim: il trickster non è dunque solo il buffone o l’ingannatore, ma anche guerriero caotico, quasi in linea con l’ambiguità che la ricerca antropologica sulla funzione del guerriero nelle culture indoeuropee in Dumézil (1990) ha enucleato. Certo il guerriero di Georges Dumézil (i fratelli Marut del ciclo vedico, gli Orazi romani, Eracle) è eroe e preservatore della civiltà, ma al contempo folle, dannato, costretto alla sofferenza e all’autodistruzione (Aiace, Eracle, Orlando, ma anche i berserker della mitologia norrena). Così anche il trickster è fondatore della civiltà da cui viene però continuamente escluso: punto di fondazione ma al contempo luogo di esclusione, in qualche modo homo sacer, che fonda l’istituzione ma al contempo ne è radicalmente escluso [6].
In questo senso, possiamo dire che Róheim non ha tradito la complessità e l’ambiguità della figura del trickster, anzi ce ne ha dato una lettura a suo modo “trickster”, che ci mostra come, nella sua assoluta caoticità e trasgressività, sia lui stesso il soggetto che apra alla fondazione della norma e, costantemente, il presupposto della sua trasgressione.
Note:
[1] Originale in lingua inglese si trova nella raccolta di testi postuma, G. Róheim, Fire in the Dragon and Other Psychoanalytic Essays on Folklore, Princeton UP, Princeton 1992, pp. 129-138.[2] Il problema di questo tipo di approccio è quello di un modo di pensare la mitologia che tende fatalmente alla “notte in cui tutte le vacche sono nere”. Guardando al microscopio le ambiguità strutturali di quasi tutte le divinità potremmo essere tentati di inserire ogni figura divina nella categoria del trickster, il quale invece ha caratteristiche che, sebbene puntino a disegnare polarità di irrisolvibile contraddizione e paradossalità, sono al contempo ben definite, come la dimensione dell’inganno, della buffoneria, dell’imbecillità che sono stilisticamente peculiari al trickster. Cfr. Jung, Kerényi, Radin, 2006.
[3] Sebbene l’autore di riferimento per Róheim sia sempre e inequivocabilmente Freud, non possiamo dimenticare l’influenza della scuola ungherese (di cui faceva parte Róheim) e la particolare attenzione degli psicoanalisti ungheresi per gli aspetti legati alle pulsioni sessuali e alla corporeità, in particolar modo Sandor Ferenczi e l’assai meno noto Imre Hermann.
[4] In effetti, pur essendo poco efficace applicare un’etichetta diagnostica occidentale a una figura mitologica di un’altra cultura, alcuni aspetti del trickster, come lo smembramento del suo corpo e il fatto che ogni parte del suo corpo abbia una sua identità, ricorda molto l’immagine del corpo in frammenti che Lacan aveva identificato nella schizofrenia. Da segnalare che, però, all’interno del ciclo winnebago, è proprio da questo iniziale smembramento e caos del corpo che, progressivamente, il Briccone dà ordine al suo corpo (Radin, 2006: 110-112).
[5] Ricordiamo che, per esempio, nella civiltà greca classica l’eroe culturale per eccellenza è Prometeo, l’ingannatore degli dèi. Proprio lui, fondando l’istituzione del sacrificio e rubando il fuoco agli dèi, dà l’avvio alla civiltà umana.
[6] Cfr. Agamben (2006).
Bibliografia:
Agamben, G. Homo sacer, Einaudi, Torino 2005.
Dumézil, G., Le sorti del guerriero, Adelphi, Milano 1990.
Freud, S., Totem e Tabù, in Opere, vol. VII, Boringhieri, Torino 1977.
Freud, S., L’Io e l’Es, in Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino 1977.
Jung, C.G, Kerényi, K. e Radin, P. , Il briccone divino, SE, Milano 2006.
Lévi-Strauss, C., Antropologia Strutturale, Il Saggiatore, Milano 1966.
Miceli, S., Il demiurgo trasgressivo. Studio sul trickster, Sellerio, Palermo 1984.
Radin, P., I winnebago e il ciclo del briccone, in C. G. Jung, K. Kerényi, Paul Radin, Il briccone divino, cit.
Róheim, G.,Origine e funzione della cultura, Feltrinelli, Milano 1972.
Róheim, G., Magia e schizofrenia, Il Saggiatore, Milano 1973.
Róheim, G., Psicoanalisi e antropologia, Rizzoli, Milano 1974a.
Róheim, G., L’enigma della sfinge, Guaraldi, Rimini-Firenze 1974b.
Róheim, G., Fire in the Dragon and Other Psychoanalytic Essays on Folklore, Princeton UP, Princeton 1992.
Lorenzo Curti, psicologo, membro del Collettivo Trickster. I suoi interessi di ricerca sono rivolti all’intreccio della psicoanalisi con più campi del sapere, tra cui la letteratura, i processi artistici, la filosofia e la riflessione sulla tecnica.