Due sguardi di Burroughs. Sulle Lettere dello Yage di Burroughs e Ginsberg

di Lorenzo Curti

 

Il cut-up e lo yagé condividono indubbiamente almeno due aspetti: il primo è che entrambi sono viaggi spazio-temporali, il secondo è che entrambi permettono l’emergenza di qualcosa di completamente nuovo. “Un luogo dove il passato sconosciuto e il futuro emergente si uniscono in un vibrante e silenzioso ronzio. Entità larvali in attesa di vita”. Lo scritto è una rielaborazione parziale di un intervento tenuto il 23 marzo 2024 durante il convegno “Lo sguardo dal di fuori”, presso MG 48°50° a Livorno.

 

pdf: Lettere dello Yage di Burroughs

 

La parola e il controllo in Burroughs 

Nel 1963, il noto, e all’epoca decisamente scandaloso, scrittore William S. Burroughs, dà alla luce un libro che è curioso e atipico per una serie di ragioni, persino nella sua produzione così complessa e sorprendente, che si chiama Le lettere dello Yage (Burroughs & Ginsberg, 2010). E’ un testo che viene scritto a quattro mani – anche se potremmo mettere in discussione questo punto e dire che ci hanno lavorato due paia di mani separatamente – da William Burroughs e dal suo amico Allen Ginsberg, l’almeno altrettanto noto poeta della Beat Generation. Il testo ha un suo interesse sin dal titolo. Basta essere superficialmente a conoscenza delle questioni riguardanti l’ayahuasca e lo yagé, per sapere che yagé non si scrive come è riportato sulla copertina, cioè senza accento. Dunque c’è un errore non indifferente che tradisce qualcosa che approfondiremo nel corso di questo articolo, cioè come Burroughs si appropri superficialmente, quasi in modo coloniale, dello yagé e dell’ayahuasca, come sottolinea Olivier Harris (2010: 15-16) nell’introduzione a questo libro, ed è rilevante al fine di comprendere lo sguardo di Burroughs su questa questione. 

I due elementi su cui mi vorrei soffermare all’interno di questo intervento sono i due sguardi di Burroughs nei confronti di questa sostanza, lo yagé, che possono essere identificati all’interno del testo. Vale la pena, però, prima mettere a fuoco due aspetti fondamentali di Burroughs, perché Burroughs è uno scrittore, uno sperimentatore artistico, e anche cinematografico a suo modo, ma è innanzitutto un teorico. Facendo attenzione a non dire filosofo, perché per la filosofia ci vuole quella sistematicità che a Burroughs manca completamente e, in un certo senso, programmaticamente. Burroughs è un autore assolutamente asistematico da un punto di vista del pensiero, ma è al contempo un fine teorico. Le due teorie principali sono la teoria del controllo e la teoria della parola come virus, che sono in ultima analisi interconnesse, che Burroughs elabora soprattutto nella sua fase di elaborazione artistica e concettuale che possiamo collocare fra Pasto nudo e Le lettere dello yage. La teoria del controllo consiste nel fatto che gli esseri umani siano costantemente controllati dall’esistenza di specifiche giustapposizioni – lui usa questo termine – di parole, immagini, droga, sesso e morte. Questi sono i cinque virus di Burroughs, che costantemente sono costruiti in modo da poterci controllare. Lo scrittore americano parla di una vera e propria algebra del controllo e di un’algebra del bisogno (Burroughs, 1994; Obsolete Capitalism, 2016). L’algebra del bisogno, collegata alla sua esperienza con l’eroina, viene rappresentata in maniera chiara nel Pasto Nudo tramite la figura spregevole e perversa di Doc Benway, un dottore dedito da una parte alla cura moralista e proibizionistica della tossicodipendenza, dall’altro spacciatore della droga che produce il bisogno di droga e dunque i tossicodipendenti stessi. Burroughs riteneva dunque che l’algebra del bisogno fosse una sorta di sistema politico che veniva utilizzato per controllare il corpo del tossicomane o dell’usatore di sostanze [1].

Il soggetto non deve rendersi conto che il maltrattamento è un attacco deliberato di un nemico anti-umano alla sua identità personale. Deve essere costretto a sentire che egli merita qualsiasi trattamento ricercava perché c’è in lui qualcosa (mai specificato) di orribilmente colpevole. Il bisogno spasmodico dei tossicomani del controllo deve essere opportunamente nascosto da una burocrazia intricata e arbitraria in modo che il soggetto non possa entrare direttamente in contatto con il suo nemico. (Burroughs, 1994: 37)

Si può notare sin da qui che la dimensione teorica di Burroughs è sempre e profondamente anche politica. La seconda teoria, che si collega però in maniera indissolubile alla prima, è il fatto che noi siamo esseri umani divisi costantemente dalla parola, virus e agente primario del controllo per Burroughs. Tutto questo significa che per Burroughs la parola non è qualcosa di generato dall’intelligenza umana, piuttosto essa viene rappresentata da Burroughs come qualcosa di alieno che colonizza la mente umana e che si replica esattamente come un virus, producendo un effetto di divisione interna al soggetto, cioè il soggetto di Burroughs è per definizione un soggetto diviso, dove una parte è la parola stessa che si replica al suo interno. 

L’“Altra Metà” è la parola. L’“Altra Metà” è un organismo. La parola è un organismo. La presenza dell’“Altra Metà” un organismo a parte che ti agganciano al sistema nervoso lungo una linea aerea di parole ora può essere dimostrata scientificamente […]. Una volta forse la parola era una cellula neurale sana. Ora è un organismo parassita che invade e danneggia il sistema nervoso centrale. L’uomo moderno ha perso la facoltà di scegliere il silenzio. Prova a frenare il linguaggio subvocale […]. Ti confronterai con un organismo antagonista che ti costringe a parlare. Quell’organismo è la parola. (Burroughs, 2009: 47).

La teoria di Burroughs implica che noi siamo il prodotto delle parole che ci hanno determinato e non viceversa, cioè noi non siamo padroni delle nostre parole ma, al contrario, sono proprio le parole a farla da padrone sui soggetti parlanti. Questa lettura dell’umano sembra condividere molto con quello che dice la psicoanalisi di Lacan, per la cui teoria il linguaggio fa esattamente questo: ci determina rendendoci soggetti ma in un movimento di alienazione e di divisione del soggetto, in relazione costante con l’Altro che si dà sotto forma di linguaggio. Questo è fondamentale perché tutto il lavoro di scrittura di Burroughs va nella direzione di distruggere l’effetto del controllo dello stato e degli apparati ideologici, dunque l’Altro della politica. Il montaggio, o meglio ancora il remix o cut-up, della parola è un modo di utilizzare la scrittura come elemento di rivoluzione, l’operazione di Burroughs si caratterizza nuovamente come un’operazione politica – uno dei capitoli di Il biglietto che esplose si chiama proprio ‘Operazione riscrittura’. La riscrittura è un processo all’interno del quale le parole possono essere rimontate in un modo tale da poter fornire al soggetto una propria agentività. Questo è importante perché Burroughs è stato spesso erroneamente letto come un autore che ha sostenuto pervicacemente l’uso di sostanze, ma non è affatto così: Pasto nudo è un libro contro l’eroina, o meglio contro un certo tipo di commercializzazione ed effetto dell’uso dell’eroina, non in termini moralisti ma in termini pedagogici e di riduzione del danno – su questo punto ritorneremo.

La cerca dello yagé

Iniziamo ora a prendere in considerazione il primo sguardo di Burroughs che è possibile reperire all’interno delle Lettere dello yage. Come dicevamo, questo è un testo particolare perché raccoglie le lettere che si scrivono Ginsberg e Burroughs fra il 1953 e il 1960. La questione è, però, che le lettere del 1953 che Burroughs rivolge a Ginsberg non hanno le risposte di Ginsberg e viceversa le lettere di Ginsberg del 1960 non hanno le risposte di Burroughs. Un epistolario a metà dove le parti mancanti sono speculari. Quali sono gli aspetti cronologici della vicenda? Nel 1953 Burroughs arriva in Sud America e inizia la quest, la cerca, dello yagé [2]. Perché cerca questa liana? Lo scrittore aveva già conosciuto questa sostanza anni prima, grazie ai suoi studi, ed era interessato a essa perché riteneva, come scrive in Junky (Burroughs, 2023), il primo libro di Burroughs, che lo yagé potesse essere lo sballo supremo. Si dedicherà allora negli anni successivi alla ricerca di qualche sciamano in Amazzonia, di un brujo che possa offrirgli questa famigerata ayahuasca. Il modo in cui si avventura in questa ricerca per l’ayahuasca ha, però, un sapore decisamente coloniale. E qui arriviamo al primo sguardo. In qualche modo, sembra che questo testo anticipi in maniera più preconizzatrice che profetica il turismo psichedelico che viviamo oggi [3]. Ovvero il fatto che oggi vi sia un grande numero di persone che vanno in Perù, in Colombia o in Brasile per rivolgersi a sciamani per fare uso di ayahuasca anche senza essere granché al corrente degli elementi culturali messi in campo nell’utilizzo di queste piante nelle tradizioni locali, insomma gli aspetti strutturali e rituali di questo consumo. Dunque vi sarebbe una questione rispetto a che cosa significa essere europei e andare ad assumere ayahuasca nel bel mezzo dell’Amazzonia, dimensione che ha prodotto, inevitabilmente, degli effetti sull’economia locale e più in generale la sempre maggiore presenza di ciarlatani e imbroglioni fra gli sciamani e curanderos. Ritornando al nostro Burroughs, che appare sempre di più come il personaggio di un romanzo picaresco, egli arriva lì non solo con lo sguardo di uno che vuole fare uso dello yagé, ma soprattutto con lo sguardo di uno che pensa di “saperla più lunga” [4] degli altri, in particolare gli autoctoni. In qualche modo Burroughs pensa di poter dettare legge fra gli indios, al punto tale che lui tratta gli sciamani come degli ubriaconi. A un certo punto nelle Lettere delle Yage dice esplicitamente: “l’ubriacone, bugiardo e scansafatiche più incallito del villaggio ne è immancabilmente anche lo stregone” (Burroughs & Ginsberg: 85). A dire il vero, Burroughs fa male ad atteggiarsi in tal guisa perché non appena fa uso dello yagé e la sostanza inizia il suo poderoso effetto, Burroghs si somministra del barbiturico per interrompere l’inizio del viaggio psichedelico. Solo una volta, come vedremo più avanti, si osserva che Burroughs arriva a qualcosa di simile all’effetto dell’ayahuasca. 

Un altro aspetto importante sono gli incontri dello scrittore. Burroughs arriva in Amazzonia e conosce Richard Evans Schultes, uno dei più importanti etnobotanici della storia e uno dei fondatori della ricerca etnobotanica in Sud America, che lui rinomina Schindler (ironicamente, Schindler in tedesco assomiglia a Schwindler che significa ‘mentitore’). Schultes si trovava in Sud America anche per ragioni politiche, perché in quel momento storico vi era una crisi del caucciù, che Burroughs descrive molto bene, e Schultes era impegnato a trovare un sostituto al caucciù. L’americano però tratta Schultes come se questi fosse solo interessato a fare soldi, restituendocene un’immagine disincantata. Per quel che riguarda l’etnobotanica, possiamo dire che l’impresa picaresca di Burroughs è collocabile in un periodo in cui non è ancora chiara la farmacologia dell’ayahuasca. Quando Burroughs parla di yagé o ayahuasca non fa riferimento alla bevanda in toto come in uso oggi, ma a solo uno dei due ingredienti della bevanda sciamanica, ovvero il Banisteriopsis Caapi. Questa è la liana detta yagé dai locali, che contiene al suo interno delle molecole chiamate inibitori della monoamminoossidasi. Gli inibitori della monoaminoossidasi hanno forti effetti psicotropi ma non effetti propriamente allucinogeni – in realtà con alte dosi si possono anche avere degli effetti allucinogeni ma, tendenzialmente, quando si arriva a quelle dosi, soprattutto col Peganum harmala, che invece è dell’areale mediterraneo, è sconsigliato per gli effetti collaterali. Ma che cosa fa l’inibitore monoaminoossidasi e perché sarebbe utilizzata in questa bevanda che, infine, risulta allucinogena? Lo yagé permette che, quando si ingerisce la dimetiltriptamina (DMT), che è contenuto nell’altra pianta del beverone, per esempio la Psychotria viridis, questa molecola possa essere assunta e digerita, altrimenti verrebbe catalizzata subito dagli enzimi. Così facendo gli I-MAO presenti nello yagé permettono gli effetti allucinogeni causati dall’altra molecola, la DMT. Si può dire che Burroughs sia uno dei primi a scoprire la Psychotria viridis: la chiama in un altro modo, fa infatti riferimento a una specie della famiglia delle Rubiacee, ma è il primo a individuare la Psychotria viridis che poi verrà canonicamente tassonomizzata dai botanici. Vi è dunque anche un effettivo contributo etnobotanico del testo, sebbene non sufficiente a rendere Burroughs qualcuno che ne sapeva più degli indios. 

Burroughs è interessato allo yagé perché viene a sapere che in Russia viene usato a titolo sperimentale per fare scambi telepatici, per cui viene chiamato telepatina [5]. Ha però anche una sua teoria, in linea con la sua lettura del controllo, per cui la CIA lo stia usando per i suoi fini. Teoria poco bizzarra, perché sappiamo che MK Ultra avrebbe utilizzato da lì a poco l’LSD. 

Insieme al colonialismo botanico di quest’uomo che se ne va col cappello coloniale in Amazzonia per fare lo yagè, prendendo lo yagè e somministrandoselo da solo, c’è anche il turismo sessuale. Le tendenze ebefiliche di Burroughs lo spingono alla ricerca di giovinetti per esperienze sessuali in cambio di soldi. In buona parte del testo, vediamo un Burroughs che si pone con lo sguardo predatorio, coloniale, di uno che pensa di saperne tanto di sostanze quanto di come adescare ragazzini. Tutto questo avviene con un paradossale piglio pedagogico, di cui è pervasa tutta l’opera di Burroughs. In questa logica pedagogica, manderà una lettera al British Journal of Addiction, che è stata tradotta in maniera discutibile in italiano, Lettera di un super tossicomane (Burroughs, 1994: 243-261). Il titolo originale in realtà sarebbe Letter from a master addict to dangerous drugs: “lettera da un esperto/maestro in dipendenza da droghe pericolose”. L’aspetto più interessante di questo testo è che può essere letto come opuscolo di riduzione del danno ante litteram. Nella pratica, Burroughs indica precisamente come e cosa fare per assumere sostanze in maniera sicura, facendo già riferimento alla Banisteriopsis caapi perché la lettera è del 1957. Il British Journal of Addiction glielo pubblica. L’approccio pedagogico è presente, come dicevamo, anche nelle Lettere dello yage, e lo vediamo soprattutto quando si rivolge a Ginsberg, nei confronti del quale si pone come guida e Virgilio – posizione nella quale, in qualche modo, lo collocava Ginsberg stesso che lo aveva preso a maestro, come sappiamo dalla biografia. Ma che cosa si intende con approccio pedagogico? Burroughs, come buona parte di altri autori “perversi” [6], offre insieme a un modo per rileggere, capovolgere e riscrivere la realtà, anche delle regole e dei precetti morali a esso collegati, seppur rovesciati come il famoso detto di Hassan i Sabbah (che ricorre costantemente nell’opera di Burroughs e anche in Lettere dello Yage): “Nulla è vero: tutto è permesso” (Burroughs & Ginsberg, 2010: 142-145). Anche il marchese de Sade condivide degli aspetti con Burroughs, autore perverso non (sol)tanto in termini morali, quanto proprio per un certo modo di leggere e sovvertire la realtà. Un testo fondamentale di Sade che è Francesi ancora uno sforzo se volete essere repubblicani, una sorta di inserto di filosofia politica che si può trovare nella Filosofia nel boudoir (Sade, 1988: 153-207) [7], ipotizza una società dove al soggetto viene offerta la possibilità non tanto di non fare agli altri quello che non vorrebbe fosse fatto a lui, come nel classico modello della libertà moderna post-illuministica, ma di fare ciò che più gli aggrada, sapendo che gli può tornare contro al medesimo modo. Incluso uccidere, stuprare, violentare. La realtà sociale e percettiva si può modificare, questo è quello che ci dicono Sade e Burroughs. Dietro a questa carica rivoluzionaria, si trova sempre qualcosa di pedagogico, quasi al confine col moralismo, seppur, almeno apparentemente, al contrario. Burroughs non si colloca mai in una posizione differente. Burroughs, nel suo intento sovversivo e rivoluzionario, insegna all’inizio agli altri come drogarsi senza farsi del male e nel tentativo di sfuggire all’algebra del bisogno, mentre più tardi addirittura ipotizzerà e proporrà modelli di società comunitari solo maschili, in aperto conflitto con il mondo femminile, in una visione separatista omosessuale, come in Ragazzi selvaggi e La febbre del ragno rosso

L’altro sguardo: yagé e cut-up

Non c’è, però, solo questo sguardo nel testo di Burroughs. Lo scrittore americano non è semplicemente un picaro con la nostalgia coloniale e con la bramosia frenetica per lo sballo finale. In Burroughs c’è tutto un altro sguardo che è quello che ci interessa. Partiamo dal fatto che, come dicevamo, Burroughs impartisce costantemente lezioni a Ginsberg su che cos’è l’ayahuasca, ma poi è proprio Ginsberg a vivere quelle esperienze tipiche delle sostanze triptaminiche dove si vivono sentimenti di fusionalità e oneness che conosciamo non solo grazie alla letteratura mistica ma anche grazie ai tanti trip report che troviamo in letteratura e su Internet. Le descrive in maniera chiara, corredandole di disegni, nel suo epistolario del 1960 rivolto a Burroughs. Eppure, c’è un punto dove Burroughs arriva a toccare qualcosa di un’esperienza dell’alterità, che sembra, nel 1953, avere a che fare con tutta la sua esperienza successiva con l’utilizzo del cut-up, che è una delle tecniche di scrittura che caratterizzano lo stile e la teoria di un certo Burroughs: 

Caro Allen, ieri sera, questo siamo il 10 luglio 1953. Ieri sera ho preso l’ultima dose di yagé che avevo portato da me da Apocalpa. Inutile tirarmela dietro negli USA. Tiene pochi giorni. Stamattina ancora sballato. Ecco cosa mi è successo. Lo yagé è un viaggio spazio temporale. Sembra che la stanza si scuota e vibri tutta. Il sangue è la materia di molte razze. Neri, polinesiani, mongoli delle montagne, nomadi del deserto, levantini poliglotti, indios, razze non ancora concepite e non ancora nate, combinazioni non ancora avvenute attraversano il corpo, migrazioni, viaggi straordinari in deserti, giungle e montagne, stasi e morti, in chiuse valli montane dove ti spuntano piante dal cazzo e grossi crostacei covano dentro e rompono il guscio del corpo, oltre il Pacifico in una piroga per l’isola di Pasqua. La città composita dove tutte le potenzialità umane si distendono in un vasto mercato silenzioso. […] Spedizioni partono per luoghi sconosciuti e finalità sconosciute. Estranei arrivano su zattere fatte di vecchie casse di imballaggio tenute insieme da funi marcite, entrano ed escono vacillando dalla giungla con occhi gonfi e ridotti a fessure dalle punture degli insetti, scendono dai sentieri di montagna con piedi feriti e sanguinanti, attraversano le polverose vie della periferia della Città spazzate dal vento dove la gente caga in fila lungo muri di adobe e gli avvoltoi si contendono le teste di pesce, piombano nei parchi con paracadute rattoppati. […] La città è colpita da epidemie di violenza e i morti non sepolti vengono divorati dagli avvoltoi nelle strade. Funerali e cimiteri sono proibiti. Albini sbattono le palpebre nel sole, ragazzini appollaiati sugli alberi si masturbano languidamente, gente smangiata da malattie sconosciute sputa ai passanti e li morde e schizza pus e croste e vettori assortiti (insetti sospettati di essere portatori di una malattia) nella speranza di infettare qualcuno. […] Un luogo dove il passato sconosciuto e il futuro emergente si uniscono in un vibrante e silenzioso ronzio. Entità larvali in attesa di vita. (Burroughs & Ginsberg, 2010: 121-125). 

La città composita appare come un luogo del conflitto, non come immagine di unità, di oneness fusionale e incontro con l’essere che vediamo nell’esperienza, più tipica, di Ginsberg. Lo yagé a Burroughs apre un luogo di divisioni, conflitti, brulichio vitale come di un formicaio. Esce allora fuori la dimensione centrale dell’esperienza artistica di Burroughs, perché Burroughs è un cartografo della mente, uno strumento di registrazione della realtà, e un esploratore di aree psichiche (Burroughs, 1994: 226). Uno dei modi attraverso cui realizza questo proposito è proprio la pratica del cut-up, ed è forse anche per questo che alla fine delle Lettere dello Yage si può trovare un cut-up. Il viaggio per la ricerca dello yagé è del 1953, ma il testo viene pubblicato nel 1963 dopo aver già scritto Pasto nudo, la Trilogia Nova, nei quali troviamo l’applicazione sistematica del cut-up. In qualche modo Burroughs sembra proporci una lettura della sua opera, o quantomeno un vettore che converge con quello che poi si è codificato come suo stile e pratica teorico-politca: “se io non avessi incontrato lo yagé, il cut-up non l’avrei potuto fare”. Il cut-up e lo yagé condividono dunque indubbiamente almeno due aspetti: il primo è che entrambi sono viaggi spazio-temporali (il cut-up permette, scomponendo il testo di invertire e decostruire gli elementi spazio-temporali della narrativa classica), il secondo è che entrambi permettono l’emergenza di qualcosa di completamente nuovo. Troviamo riassunti questi due aspetti nell’ultima frase della citazione precedente: “Un luogo dove il passato sconosciuto e il futuro emergente si uniscono in un vibrante e silenzioso ronzio. Entità larvali in attesa di vita”.  Lo yagé è uno dei primi dispositivi a offrire a Burroughs la possibilità di avere a che fare con qualcosa che gli permettesse l’idea della costruzione di una terza mente. La third mind è esattamente quello che risulta come prodotto dell’applicazione della pratica del cut-up, ossia l’emergenza di un unseen collaborator, una terzietà che si va a costruire a partire dall’incontro di due soggetti, nella fattispecie Brion Gysin, il vero inventore del cut-up, e William Burroughs. 

GYSIN: It says that when you put two minds together. . .
BURROUGHS: . . . there is always a third mind . . .
GYSIN : . . . a third and superior mind . . .
BURROUGHS: . . . as an unseen collaborator.(Burroughs & Gysin, 1978: 19)

In cosa consiste, però, il cut-up? Il cut-up è una pratica che richiede di prendere un pezzo di carta dove c’è un testo già scritto, che può essere “proprio” o può essere di qualcun altro, tagliarlo secondo una precisa logica, e riordinarlo secondo una logica che può essere permutativa o casuale. Ciò che è importante, però, è che sia una logica che viene definita a monte. Ora, quello che accade è che il cut-up permette di far emergere da qualcosa di già scritto qualcosa di nuovo. Burroughs utilizzerà il cut-up per un certo periodo della vita, per poi abbandonarlo e tornare a una prosa più classica. Non farà uso solo del cut-up, ma creerà un’altra tecnica che denominerà fold-in, che significa “ripiegare”, e si può dire che l’elemento più estremo del cut-up, cioè il taglio, l’incisione, lo ritroveremo alla fine della sua carriera sotto la forma dello sparo. Infatti, alla fine della sua carriera Burroughs spara per produrre arte. Recupera dei barattoli di vernice, che pone davanti a una tela a una certa distanza in un campo, per poi sparargli e vedere lo spargimento di tutta la vernice sulla tela. Questo ha un certo interesse, perché se, come sostiene lo stesso Burroughs, la sua carriera di scrittore inizia con la morte di sua moglie Joan Vollmer che uccide inavvertitamente giocando al Gugliemo Tell, sembra tornare, artisticamente, allo sparo quando interrompe il suo rapporto con la scrittura! 

Ritornando al cut-up, per Burroughs questo sarebbe una tecnica per costruire e far emergere una terza mente. Tant’è che l’idea di cut-up non è proprio di Burroughs. La condivide con Bryon Gysin, che è un altro importante artista, scrittore e poeta soprattutto. Dunque, se in qualche modo il cut-up permette di poter riconfigurare la realtà, una realtà già determinata, con una nuova composizione, allora in qualche modo è vero che Burroughs incontra questo già nello yagé. E questo ci dà modo di pensare che è come se lo yagé per lui fosse una (im)possibile via di accesso che lo porta alla elaborazione delle sue teorie, ma anche e soprattutto alla scoperta e all’utilizzo del cut-up, che è veramente qualcosa che gli ha permesso di reinventare la scrittura. Basta prendere in mano uno dei testi del periodo cut-up di Burroughs, per vedere che sono davvero un rimaneggiamento di cose già scritte. Ma al contempo sono testi completamente nuovi. Il cut-up si configurerebbe allora come una pratica di ricerca degli spazi della mente che portano Burroughs fuori dalla sua logica di solo master addict to dangerous drugs, ma di qualcuno che può aprire all’elaborazione di nuovi spazi psichici a partire dall’intersoggettività, ed è per questo che questo libro non si poteva scrivere senza Ginsberg, perché ci voleva Ginsberg per capire l’ayahuasca. Senza Ginsberg questo libro sarebbe stato monco, e solo l’esperienza di Ginsberg con la bevanda amazzonica permette che al lettore risulti più chiara e più vicina l’esperienza enteogena provocata dalla sostanza.

Dunque, siamo riusciti a enucleare la compresenza paradossale di questi due sguardi, che si trovano in una contraddizione insolubile. Il primo sguardo è quello che va verso la dimensione predatoria coloniale, dell’occidentale che “la sa più lunga”, e un secondo sguardo è quello che ci interessa, quello veramente altro, nel senso che è disposto a incontrare l’alterità e che apre all’intersoggettività e alla possibilità di riscrivere la realtà dal vecchio come se fosse sempre qualcosa di nuovo. In questo senso, William Burroughs si comporta in Le lettere dello yage, ma si potrebbe dire, in tutta la sua opera, come un trickster. Un esploratore errabondo di una terra che è di soglia fra il non conosciuto geografico e il non conosciuto psichico, al contempo infingardo americano dallo sguardo coloniale e demiurgo di una mitologia psichedelica del viaggio che avrebbe influenzato la ricezione della sostanza nel cosiddetto mondo occidentale. 

Note:

[1] Nello stesso testo c’è una lettura critica del sistema di cura della tossicodipendenza da eroina che ha selezionato il metadone come metodo principale. Per Burroughs questo è un modo del controllo (il metadone servirebbe a far sì che il tossicomane torni sempre dal medico), mentre vi sarebbe una sostanza, l’apomorfina, un countervirus positivo che avrebbe il potere di de-tossicizzare l’eroinomane. Cfr. Burroughs, 1994: 9-12.

 

[2] Vale la pena sottolineare l’inglese perché c’è qualcosa della quest (quête in francese) del Santo Graal, della sostanza che viene immaginato come lo sballo finale.

 

[3] Non vi è ancora una letteratura critica sistematica sul fenomeno del turismo psichedelico, ma esistono già degli sguardi critici sulla questione. Cfr Evans, 2023; https://theface.com/culture/the-problem-with-the-psychedelic-renaissance-psilocybin-dmt-drugs-mushrooms.

 

[5] Per la nomenclatura telepatina, cfr Rouhier, 1924.

 

[6] Non in termini, almeno su questo piano, “morali”, né “diagnostici”, ma in termini filosofici: una riscrittura creativa della legge a partire, nel caso di Burroughs, dal moto “nulla è vero, tutto è permesso”. Per un’idea filosofica della perversione come la intendo qui, cfr. Leoni, 2019.

 

[7] Per un commento sul rapporto fra etica illuministica (in particolar modo la morale kantiana) ed etica sadiana, cfr. Lacan, 1974.

Bibliografia:

Burroughs, W.S., Gysin, B., The Third Mind, Viking Press, New York 1978.

Burroughs, W.S., Il pasto nudo, Sugarco, Milano 1994.

Burroughs, W.S., Lettera di un supertossicomane, in Il Pasto nudo, cit.

Burroughs, W.S., Il biglietto che esplose, Adelphi, Milano 2009.

Burroughs, W.S., Ginsberg, S., Le lettere dello yage, Adelphi, Milano 2010.

Burroughs, W.S., Junky, Adelphi, Milano 2023.

Evans, J., ‘More evolved than you’: Evolutionary spirituality as a cultural frame for psychedelic experiences, «Frontiers in Psychology», 2023, 14:1103847.

Harris, O., Introduzione, in W. S. Burroughs, A. Ginsberg, Le lettere dello yage, cit., pp. 15-16.

Lacan, J., Kant con Sade, in Scritti, vol. II, Einaudi, Torino 1974.

Leoni, F.., Una scienza di fantasmi, Orthotes, Napoli 2019.

Obsolete Capitalism, Controllo, modulazione e algebra del male in Burroughs e Deleuze, in «La Deleuziana», n. 3, 2016, pp. 121-141

Rouhier, A., Le Yagé: Plante Télépathique, «Paris Médical», vol. 52 (15), 1924, pp. 341-346.

de Sade, D.F.A., La filosofia nel boudoir, Mondadori, Milano 1988.

Lorenzo Curti, psicologo, membro del Collettivo Trickster. I suoi interessi di ricerca sono rivolti all’intreccio della psicoanalisi con più campi del sapere, tra cui la letteratura, i processi artistici, la filosofia e la riflessione sulla tecnica.

Parole chiave: William S. Burroughs; yagé; cut-up; psichedelia; interosggettività