Cosa significa vivere una vita spirituale pienamente incarnata?

di Jorge N. Ferrer
Questo saggio breve affronta il tema della spiritualità incarnata e integrata, individuandone gli elementi salienti, confrontandola con le forme di spiritualità disincarnata presenti in molte tradizioni religiose e indagando al contempo le potenzialità a venire di una spiritualità pienamente incarnata. Il testo originale è apparso sull’“International Journal of Transpersonal Studies” nel 2008.
“Perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità”
Colossesi 2:9
La spiritualità incarnata (embodied) è un termine entrato in voga nei circoli spirituali contemporanei, ma il concetto non è stato affrontato in modo approfondito. Che cosa intendiamo veramente quando diciamo che la spiritualità è “incarnata”? C’è una comprensione distinta del corpo alla base di questa espressione? Cosa distingue nella pratica la spiritualità “incarnata” da quella “disincarnata”? Quali sono le implicazioni per la pratica spirituale e gli obiettivi spirituali – e per il nostro stesso approccio alla liberazione spirituale – nel prendere sul serio l’incarnazione?
Prima di tentare di rispondere a queste domande, sono necessarie due avvertenze. In primo luogo, sebbene le seguenti riflessioni cerchino di cogliere le caratteristiche essenziali di un’ethos spirituale emergente nell’Occidente moderno, non pretendo affatto che rappresentino il pensiero di tutti gli autori e insegnanti spirituali che oggi usano il termine “spiritualità incarnata”. Dovrebbe essere ovvio che alcuni autori possono concentrarsi solo su alcune di queste caratteristiche e che il presente resoconto rifletta inevitabilmente il mio punto di vista, con la sua peculiare prospettiva e le relative limitazioni. Secondariamente, questo saggio si impegna nel compito di un’”ermeneutica interreligiosa creativa” che non solo intreccia liberamente – e un po’ impetuosamente – i fili spirituali di diverse tradizioni religiose, ma a volte li rielabora alla luce delle moderne comprensioni spirituali. Anche se questa procedura è ancora considerata come un anatema nei circoli accademici mainstream, sono convinto che solo attraverso una fusione critica degli orizzonti spirituali globali del passato e del presente è possibile iniziare a tessere un arazzo affidabile riguardante la spiritualità incarnata contemporanea.
Che cos’è la spiritualità incarnata?
In un certo senso, l’espressione “spiritualità incarnata” può essere giustamente considerata ridondante e forse anche vuota. Dopo tutto, non è forse “incarnata” tutta la spiritualità umana nella misura in cui si manifesta necessariamente in e attraverso uomini e donne incarnati? I sostenitori della pratica spirituale incarnata, tuttavia, ci dicono che importanti tendenze delle spiritualità passate e presenti sono “disincarnate”. Ma che cosa significa “disincarnato” in tale contesto?
Alla luce della nostra storia spirituale, suggerisco che “disincarnato” non significa che il corpo e le sue energie vitali e primarie siano stati ignorati nella pratica religiosa – sicuramente non lo sono stati – ma piuttosto che non sono stati considerati fonti legittime o affidabili di comprensione spirituale. In altre parole, il corpo e l’istinto non sono stati generalmente considerati in grado di collaborare alla pari con cuore, mente e coscienza nel raggiungimento della realizzazione spirituale e della liberazione. Inoltre, molte tradizioni e scuole religiose ritenevano che il corpo e il mondo primario (e alcuni aspetti del cuore, come certe passioni) fossero un ostacolo allo sviluppo spirituale, una visione che spesso ha portato a repressione, regolamentazione o trasformazione di questi mondi al servizio degli obiettivi “superiori” riguardanti una coscienza spiritualizzata. Ecco perché la spiritualità disincarnata si è spesso cristallizzata in una vita spirituale dal chakra del cuore in su (“heart-chakra-up“), basata in maniera preminente sull’accesso mentale e/o emozionale alla coscienza trascendente, tendendo a trascurare le fonti spirituali immanenti nel corpo, nella natura e nella materia.
La spiritualità incarnata, al contrario, considera tutte le dimensioni umane – corpo, vitalità, cuore, mente e coscienza – come partner uguali nel portare il sé, la comunità e il mondo in un allineamento più completo con il Mistero da cui tutto sorge (Ferrer, 2002). Lungi dall’essere un ostacolo, questo approccio vede l’impegno del corpo e delle sue energie vitali/primarie come cruciale non solo per una completa trasformazione spirituale, ma anche per l’esplorazione creativa di forme ampliate di libertà spirituale. La consacrazione dell’intera persona conduce naturalmente alla coltivazione di una spiritualità “full-chakra” che cerca di rendere tutte le caratteristiche umane permeabili alla presenza di energie spirituali immanenti e trascendenti. Questo non significa che la spiritualità incarnata ignori la necessità di emancipare il corpo e l’istinto da possibili tendenze alienanti; piuttosto, significa che tutte le dimensioni umane – non solo quelle somatiche e primarie – siano riconosciute non solo come possibilmente alienate, ma anche ugualmente capaci di condividere liberamente la vita del Mistero che si sta svolgendo qui sulla Terra.
Il contrasto tra “sublimazione” e “integrazione” può aiutare a chiarire questa distinzione. Nella sublimazione l’energia di una dimensione umana viene usata per amplificare, espandere o trasformare le facoltà di un’altra dimensione. Questo è il caso, ad esempio, di un monaco celibe che sublima il desiderio sessuale come catalizzatore per una svolta spirituale o per aumentare l’amore devozionale del cuore, oppure quando un praticante tantrico usa le energie vitali/sessuali come combustibile per catapultare la coscienza in stati dell’essere disincarnati, trascendenti o addirittura transumani. Al contrario, l’integrazione di due dimensioni umane comporta una trasformazione reciproca (“matrimonio sacro”) delle loro energie essenziali. Ad esempio, l’integrazione della coscienza e del mondo vitale rende la prima più incarnata, vitalizzata e persino erotizzata, conferendo al secondo una direzione evolutiva intelligente al di là degli istinti biologicamente motivati. In altre parole, potremmo dire che la sublimazione è un segno della spiritualità disincarnata, mentre l’integrazione è un obiettivo della spiritualità incarnata. Ciò non vuol dire, ovviamente, che la sublimazione non abbia posto nella pratica spirituale incarnata. Il cammino spirituale è qualcosa di intricato e complesso, e la sublimazione di certe energie può essere necessaria – anzi cruciale – in determinati momenti o per certe disposizioni individuali. Tuttavia, trasformare la sublimazione in un obiettivo permanente o in una dinamica energetica è la corsia preferenziale verso una spiritualità disincarnata.
Oltre alle spiritualità che svalutano apertamente il corpo e il mondo, un tipo più sottile di orientamento disincarnato vede la vita spirituale emergere esclusivamente dall’interazione tra la nostra esperienza immediata e le fonti trascendenti della coscienza (cfr. Heron, 1998). In questo contesto, la pratica spirituale è finalizzata all’accesso a realtà trascendenti (i sentieri di “ascesa”, come la classica mistica neoplatonica) oppure portare sulla terra tali energie spirituali per trasfigurare la natura umana e/o il mondo (i sentieri di “discesa”, come lo yoga integrale di Sri Aurobindo).
Il difetto di questa concezione “monopolare” è che ignora l’esistenza di un secondo polo spirituale – la vita spirituale immanente – che, come spiegherò di seguito, è intimamente connesso al mondo vitale, custodendo un potere più generativo dello Spirito. Tralasciare questa fonte spirituale conduce i praticanti – anche quelli che si occupano di trasformazione corporea – a trascurare l’importanza del mondo vitale per una spiritualità creativa, cercando di trascendere o sublimare le proprie energie sessuali. Una spiritualità pienamente incarnata – suggerisco – emerge dall’interazione creativa di energie spirituali immanenti e trascendenti in individui completi che abbracciano la pienezza dell’esperienza umana pur rimanendo saldamente ancorati al corpo e alla terra.
Certo, gli atteggiamenti religiosi nei confronti del corpo umano sono stati profondamente ambivalenti, considerando il corpo come fonte di schiavitù, peccato e contaminazione, da un lato, e come luogo di rivelazione spirituale e divinizzazione, dall’altro. La nostra storia religiosa ospita tendenze che si collocano lungo un continuum di obiettivi e pratiche disincarnate e incarnate. Esempi di tendenze disincarnate includono l’ascetismo del brahmanesimo, del giainismo, del buddhismo, del cristianesimo monastico e delle forme primordiali del taoismo e del sufismo (Bhagat, 1976; Wimbush e Valantasi, 1995); le visioni hindu del corpo come non reale (mithya) e del mondo come illusione (maya) (Nelson, 1998); la considerazione dell’advaita vedanta della “liberazione della forma corporea” (videhamukti) raggiungibile solo dopo la morte, considerata superiore alla “liberazione in vita” (jivanmukti), inesorabilmente contaminata dal karma corporeo (Fort, 1998); gli originari racconti buddhisti del corpo come fonte ripugnante di sofferenza, del nirvana come estinzione dei sensi e dei desideri corporei, e del “nirvana finale” (parinirvana) raggiungibile solo dopo la morte (Collins, 1998); la visione cristiana della carne come fonte del male e del corpo risorto come asessuato (Bynum, 1995); l'”isolamento” (kaivalya) della coscienza pura dal corpo e dal mondo presente nel samkhya-yoga (Larson, 1969); la trasmutazione tantrica dell’energia sessuale per raggiungere l’unione con il divino nello shivaismo del Kashmir (Mishra, 1993) o per entrare in sintonia con il flusso creativo del tao nell’autocoltivazione taoista (Yasuo, 1993); l’ossessione dei cabalisti di Safed per la peccaminosità della masturbazione e delle emissioni notturne; o il ripudio del corpo da parte di Yitzhak Luria come “impedimento per l’uomo di raggiungere la perfezione della sua anima” (cit. in Fine, 1992, p. 131); la considerazione islamica dell’aldilà (al-akhira) come incommensurabilmente più prezioso del mondo fisico (al-dunya) (Winter, 1995); e l’affermazione del vishistadvaita vedanta secondo cui la completa liberazione comporta la totale cessazione dell’incarnazione (Skoog, 1996).
Allo stesso modo, esempi di tendenze incarnate includono la visione zoroastriana del corpo come parte della natura ultima dell’essere umano (A. Williams, 1997); il racconto biblico, nel libro della Genesi, dell’essere umano creato a “immagine e somiglianza di Dio” (Jónsson, 1988); l’affermazione tantrica della non dualità del desiderio sensuale e del risveglio (Faure, 1998); l’enfasi paleocristiana sull’incarnazione (“il Verbo si fece carne”; Barnhart, 2008); l’obiettivo di “raggiungere la buddhità in questo stesso corpo” (sokushin jobutsu) del buddhismo shingon (Kasulis, 1990); il piacere religioso ebraico di tutti i bisogni e appetiti corporei nel Sabbath (Westheimer e Mark, 1995); l’abbraccio radicale della sensualità nella poesia sufi di Rumi o Hafez (Barks, 2002; Pourafzal e Montgomery, 1998); la visione taoista del corpo come contenitore simbolico dei segreti dell’intero universo (Saso, 1997); la connessione somatica con le fonti spirituali immanenti in molte spiritualità indigene (ad es. Lawlor, 1991); l’insistenza nel soto zen sulla necessità e abbandonare la mente al corpo per raggiungere l’illuminazione (Yasuo, 1991); il detto esoterico degli imam sciiti: “I nostri spiriti sono i nostri corpi e i nostri corpi sono i nostri spiriti” (arwahuna ajsaduna wa ajsaduna) (Galian, 2003); la lunga tradizione giudeo-cristiana a sostegno dell’impegno sociale e della giustizia nella trasformazione spirituale del mondo (ad es. Forest, 1993; Heschel, 1996), fra molti altri.
Molti orientamenti religiosi apparentemente incarnati, tuttavia, nascondono visioni assai ambivalenti nei confronti della sensualità e del corpo fisico. Per esempio, il taoismo non valorizza generalmente il corpo fisico in sé, ma solo perché si riteneva che fosse una dimora per le divinità; e le pratiche sessuali taoiste spesso comportavano un rigoroso autocontrollo, regole inibitorie e una depersonalizzazione dei rapporti sessuali che disdegnava la coltivazione dell’amore amore reciproco tra gli individui (Clarke, 2000; Schipper,1994). Inoltre, mentre il Sabbath ebraico è un giorno di consacrazione del rapporto sessuale tra marito e moglie, molti insegnamenti tradizionali (ad es. l’Iggeret ha-Kodesh) prescrivevano la necessità di impegnarsi in tale unione senza piacere o passione, come si supponeva fosse avvenuta nel Giardino prima del peccato (Biale, 1992). Inoltre, gran parte della valorizzazione da parte del buddhismo vajrayana per il corpo fisico “grossolano” come facilitatore dell’illuminazione risiede nel considerarlo come fondamento di un corpo più reale, non fisico, “corpo astrale” o “corpo d’arcobaleno” (P. Williams, 1997). In modo analogo, il tantra hindu considera il corpo e il mondo come reali, ma alcuni dei suoi rituali di identificazione con il cosmo comportano la purificazione e la distruzione visualizzata del corpo fisico “impuro” per agevolare l’emergere di un corpo sottile o divino dalle ceneri stesse della corporeità (si veda, ad es., la Jayakhya Samhita del vaishnavismo tantrico; Flood, 2000). In breve, sebbene alcune scuole religiose abbiano generato obiettivi spirituali più inclusivi verso l’incarnazione, nella pratica vissuta una spiritualità pienamente incarnata che coinvolge la partecipazione di tutte le caratteristiche umane in un’interazione co-creativa con fonti spirituali immanenti e trascendenti è stata, e continua a essere, una perla estremamente rara da trovare (Ferrer, 2008; Ferrer e Sherman, 2008a).
Un esame delle numerose variabili storiche e contestuali alla base della tendenza verso la spiritualità disincarnata va oltre lo scopo del presente saggio, ma vorrei citare almeno una possibile ragione sottostante (cfr. Ferrer, Albareda, e Romero, 2004). L’inibizione frequente delle dimensioni primarie della persona – somatiche, istintive, sessuali e alcuni aspetti emotivi – può essere stata necessaria in alcuni momenti storici per permettere l’emergere e la maturazione dei valori del cuore e della coscienza. Più specificamente, questa inibizione potrebbe essere stata essenziale per evitare il riassorbimento di un’autocoscienza emergente, ancora relativamente debole, in presenza di una più forte energia, maggiormente guidata dagli istinti. Nel contesto della prassi religiosa, ciò può essere collegato alla diffusa considerazione di alcune qualità umane come spiritualmente più “corrette” o salutari di altre; per esempio, l’equanimità rispetto alle passioni intense, la trascendenza rispetto all’incarnazione sensuale, la castità o la pratica sessuale strettamente regolamentata rispetto all’esplorazione sensuale, e così via. Quello che può caratterizzare il nostro momento attuale, tuttavia, è la possibilità di ricollegare queste potenzialità umane in maniera integrata. In altre parole, avendo sviluppato la coscienza autoriflessiva e le dimensioni sottili del cuore, è giunto forse il momento di riappropriarsi e di integrare le dimensioni maggiormente primarie e istintive della natura umana in una vita spirituale pienamente incarnata. Esploriamo ora la comprensione distintiva del corpo umano implicita nella spiritualità incarnata.
Il corpo vivente
La spiritualità incarnata considera il corpo come soggetto, come dimora dell’essere umano completo, come fonte di intuizioni spirituali, come microcosmo dell’universo e del Mistero, centrale per una trasformazione spirituale duratura.
Il corpo come soggetto: Vedere il corpo come soggetto significa avvicinarlo come un mondo vivente, con tutta la sua interiorità e profondità, i suoi bisogni e desideri, le sue luci e ombre, la sua saggezza e le sue oscurità. Gioie e dolori fisici, tensioni e rilassamenti, desideri e repulsioni sono alcuni dei mezzi attraverso i quali il corpo può parlarci. In ogni caso, il corpo non è una “Esso” da utilizzare per gli obiettivi o le estasi spirituali della mente cosciente, ma un “Tu”, un partner intimo con cui le altre dimensioni umane possono collaborare nella ricerca di forme di saggezza sempre più liberanti.
Il corpo come dimora dell’essere umano completo: Nella realtà fisica in cui viviamo, il corpo è la nostra casa, un luogo di libertà che ci permette di percorrere il nostro cammino unico, sia letteralmente che simbolicamente. Una volta superato veramente il dualismo tra materia e Spirito, il corpo non potrà più essere visto come una “prigione dell’anima” e nemmeno come un “tempio dello Spirito”. Il mistero dell’incarnazione non ha mai alluso all'”entrata” dello Spirito nel corpo, ma al suo “divenire” carne: “In principio era il Verbo e il Verbo era Dio … E il Verbo si fece carne” [Giovanni 1:1, 14]. Quindi, non sarebbe forse più preciso, almeno durante la nostra esistenza fisica, apprezzare i nostri corpi come una trasmutazione dello Spirito in forma carnale? Attraverso un’incarnazione senza fine di una moltitudine di esseri, la vita può mirare all’unione ultima dell’umanità e della divinità nel corpo. Forse, paradossalmente, un’incarnazione piena può portare a una morte pacifica e appagante, perché possiamo abbandonare questa esistenza materiale con la sensazione profonda di avere aver portato a termine uno degli scopi essenziali del nostro essere venuti al mondo.
Il corpo come fonte di comprensione spirituale: Il corpo è una rivelazione divina che può offrire comprensione spirituale, discriminazione e saggezza. In primo luogo, il corpo è l’utero per il concepimento e la gestazione di un’autentica conoscenza spirituale. Le sensazioni corporee, ad esempio, sono pietre miliari nella trasformazione incarnata delle energie creative dello Spirito per ogni vita umana. In assenza di gravi blocchi o dissociazioni, questa energia creativa viene trasformata somaticamente in impulsi, emozioni, sensazioni e sentimenti, pensieri, intuizioni, visioni e, infine, rivelazioni contemplative. Come disse magnificamente Buddha: “Tutto ciò che sorge nella mente inizia a fluire con una sensazione sul corpo” (Goenka, 1998, p. 26).
Inoltre, ascoltando profondamente il corpo ci rendiamo conto che le sensazioni e gli impulsi fisici possono essere anche autentiche fonti di intuizione spirituale (cfr. Ferrer, Romero e Albareda, 2005; Osterhold, Husserl e Nicol, 2007). In alcune scuole zen, per esempio, le azioni corporee costituiscono prove cruciali della realizzazione spirituale e sono viste come la verifica finale dell’illuminazione improvvisa (satori) (Faure, 1993). La rilevanza epistemologica dell’incarnazione nelle questioni spirituali è stata anche appassionatamente affermata da Nikos Kazantzakis (1965): “Dentro di me anche il problema più metafisico assume un corpo fisico caldo che profuma di mare, di terra e di sudore umano. La Parola, per toccarmi, deve diventare carne calda. Solo allora capisco, quando posso annusare, vedere, toccare” (p. 43).
Forse ancora più importante, il corpo è la dimensione umana che può rivelare il significato ultimo della vita incarnata. Essendo esso stesso fisico, il corpo conserva nelle sue profondità la risposta al mistero dell’esistenza materiale. La risposta del corpo a questo enigma non è data nella forma di grandi visioni metafisiche o di una Teoria del Tutto, ma è concessa con grazia attraverso stati dell’essere che rendono la vita naturalmente profonda e significativa. In altre parole, il significato della vita non è qualcosa da discernere e conoscere intellettualmente con la mente, ma da sentire nelle profondità della nostra carne.
Il corpo come microcosmo dell’universo e del Mistero: Praticamente tutte le tradizioni spirituali sostengono che esiste risonanza profonda tra l’essere umano, il cosmo e il Mistero. Questo punto di vista è espresso dal detto esoterico “come in alto così in basso” (Faivre, 1994); la comprensione platonica, taoista, islamica, cabalistica e tantrica della “persona come microcosmo del macrocosmo” (ad es. Chittick, 1994; Faure, 1998; Overzee, 1992; Saso, 1997; Shokek, 2001; Wayman, 1982); la visione biblica dell’essere umano fatto “a immagine di Dio” (imago Dei) (Jónsson, 1988). Per i baul del Bengala, la comprensione del corpo come microcosmo dell’universo (bhanda/brahm) comporta la convinzione che il divino dimori fisicamente all’interno del corpo umano (McDaniel, 1992). Il pensatore gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1968) si esprimeva in questo modo: “La mia materia non è una parte dell’Universo che possiedo totaliter, ma è la totalità dell’Universo da me posseduta partialiter” (p. 12).
Tutte queste percezioni ritraggono un’immagine del corpo umano come specchio e contenuto della struttura più intima dell’intero universo e del principio creativo ultimo. In diverse tradizioni, questa corrispondenza strutturale tra il corpo umano e il Mistero ha dato vita a pratiche mistiche in cui i rituali corporei sono stati trasformati in rituali di culto, ritenuti in grado di influenzare la dinamica stessa del Divino – una ricerca che forse è stata più esplicitamente descritta nel misticismo teurgico cabalistico (Lancaster, 2008). Tuttavia, questo non significa che il corpo è da valorizzare solo perché rappresenta o può influenzare realtà “più grandi” o “superiori”. Tale visione mantiene sottilmente il dualismo fondamentale tra corpo materiale e Spirito. La spiritualità incarnata riconosce il corpo umano come apice della manifestazione creativa dello Spirito e, di conseguenza, come traboccante di significato spirituale intrinseco.
Il corpo come elemento essenziale per una trasformazione spirituale: Il corpo è un filtro attraverso il quale gli esseri umani possono purificare le tendenze energetiche inquinate, sia biografiche che ereditate collettivamente. Dato che il corpo è di natura più densa rispetto al mondo emotivo, mentale e cosciente, i cambiamenti che avvengono in esso sono più duraturi e permanenti. In altre parole, una trasformazione psicospirituale duratura deve essere fondata sulla trasfigurazione somatica. La trasformazione integrativa dei mondi somatici ed energetici di una persona impedisce alla tendenza delle abitudini energetiche del passato a ritornare, creando così una solida base per una permanente trasformazione spirituale.
Lineamenti della spiritualità incarnata
Alla luce di questa più ampia comprensione del corpo umano, offro ora una considerazione di dieci caratteristiche di spiritualità incarnata:
1. Tendenza all’integrazione: La spiritualità incarnata è integrante nella misura in cui cerca di promuovere la partecipazione armoniosa di tutti gli elementi umani nel sentiero spirituale senza tensioni o dissociazioni. Nonostante avesse sminuito l’importanza spirituale della sessualità e del mondo vitale, Sri Aurobindo (2001) aveva ragione nel dire che una liberazione della coscienza nella coscienza non deve essere confusa con una trasformazione integrale che comporta l’allineamento spirituale di tutte le dimensioni umane. Questo riconoscimento suggerisce la necessità di espandere il tradizionale voto del bodhisattva nel buddhismo mahayana, cioè di rinunciare alla liberazione completa finché tutti gli esseri senzienti non raggiungono la liberazione, fino a comprendere un “voto di bodhisattva integrale” in cui la mente consapevole rinuncia alla completa liberazione fino a quando il corpo e anche il mondo può essere libero (Ferrer, 2007). Poiché per la maggior parte degli individui la mente cosciente è la sede del loro senso di identità, una liberazione esclusiva della coscienza può essere ingannevole nella misura in cui possiamo credere di essere pienamente liberi quando, in realtà, dimensioni essenziali di noi stessi sono sviluppate male, alienate o imprigionate. Inutile dire che abbracciare un voto di bodhisattva integrale, non significa tornare alle aspirazioni spirituali individualistiche del buddhismo delle origini, in quanto comporta un impegno per la liberazione integrale di tutti gli esseri senzienti, non solo delle loro menti consapevoli o del loro senso di identità convenzionale.
2. Realizzazione attraverso il corpo: Sebbene le loro pratiche e i loro frutti rimangono oscuri nella letteratura a disposizione, l’ordine hindu dei baul del Bengala ha coniato il termine kaya sadhana per indicare la “realizzazione attraverso il corpo” (McDaniel, 1992). La spiritualità incarnata esplora lo sviluppo di kaya sadhana appropriata per il nostro mondo contemporaneo. Con la notevole eccezione di alcune tecniche tantriche, le forme tradizionali di meditazione sono praticate individualmente e senza interazione corporea con altri praticanti. La moderna spiritualità incarnata recupera il significato spirituale non solo del corpo, ma anche del contatto fisico. Grazie alla loro emergenza sequenziale nello sviluppo umano – dal soma all’istinto, al cuore, alla mente – ogni dimensione cresce radicandosi in quelle precedenti, e il corpo diventa la porta naturale verso i livelli più profondi di altre dimensioni umane. Pertanto, la pratica del contatto fisico contemplativo in un contesto relazionale e di aspirazione spirituale può avere un profondo potere trasformativo (cfr. Ferrer, 2003).
Per promuovere un’autentica pratica incarnata è essenziale entrare in contatto con il corpo, discernere il suo stato attuale e i suoi bisogni, successivamente creare spazi per il corpo al fine di generare le proprie pratiche e le proprie abilità – per così dire, elaborare il proprio yoga. Quando il corpo diventa permeabile alle energie spirituali immanenti e trascendenti, può trovare i propri ritmi, abitudini, posture, movimenti e rituali carismatici. È interessante notare che alcuni antichi testi indiani affermano che le posture dello yoga (asana) sono emerse spontaneamente dall’interno del corpo e sono state guidate dal libero fluire della sua energia vitale (prana) (Sovatsky, 1994). Una vita spirituale creativa e permanente dimora all’interno del corpo – un dinamismo vitale intelligente che attende di emergere per orchestrare il dispiegamento del nostro diventare pienamente umani.
3. Risveglio del corpo: La permeabilità del corpo alle energie spirituali immanenti e trascendenti porta al suo graduale risveglio. A differenza delle tecniche di meditazione che si focalizzano solo sulla consapevolezza mentale (mindfulness) all’interno del corpo, questo risveglio può essere più accuratamente articolato in termini di consapevolezza corporea (bodyfulness). In tale consapevolezza corporea, l’organismo psicosomatico diventa serenamente vigile senza l’intenzionalità della mente cosciente. La corporeità reintegra nell’essere umano una capacità somatica perduta, presente nelle pantere, nelle tigri e negli altri grandi felini della giungla, che possono essere straordinariamente consapevoli senza cercare intenzionalmente di esserlo. Un possibile ulteriore orizzonte di consapevolezza corporea è stato descritto dal Mère, consorte spirituale di Sri Aurobindo, in termini di un risveglio consapevole delle cellule stesse dell’organismo (Satprem, 1982).
4. Risacralizzazione della sessualità e del piacere sensuale: Mentre la nostra mente e la nostra coscienza costituiscono un ponte naturale verso la consapevolezza trascendente, il nostro corpo e le sue energie primarie costituiscono un ponte naturale verso la vita spirituale immanente. La vita immanente è prima materia spirituale, cioè energia spirituale in stato di trasformazione, ancora non attualizzata, satura di potenzialità e possibilità, fonte di autentica innovazione e creatività a tutti i livelli. La sessualità e il mondo vitale sono i primi terreni per l’organizzazione e lo sviluppo creativo dello Spirito immanente nella realtà umana. Ecco perché è così importante che la sessualità sia vissuta come un terreno sacro, libero da paure, conflitti o imposizioni artificiali dettate dalle nostre menti, culture o ideologie spirituali. Quando il mondo vitale è ricollegato alla vita spirituale immanente, le pulsioni primarie possono collaborare spontaneamente al nostro dispiegamento psicospirituale senza bisogno di essere sublimate o trascese.
A causa del suo effetto accattivante sulla coscienza umana e sulla personalità egoica, il piacere sensuale è stato visto con sospetto dalla maggior parte delle tradizioni religiose, addirittura demonizzato come intrinsecamente peccaminoso. In un contesto di aspirazione spirituale incarnata, tuttavia, diventa fondamentale salvare, in modo non narcisistico, la dignità e il significato spirituale del piacere fisico. Così come il dolore “contrae” il corpo, il piacere lo “rilassa”, rendendolo più poroso alla presenza e al flusso delle energie spirituali immanenti e trascendenti. In questa luce, la formidabile forza magnetica della pulsione sessuale può essere vista come un’attrazione della coscienza verso la materia, che facilita sia la sua incarnazione e il suo radicamento nel mondo, sia lo sviluppo di un processo di incarnazione che trasforma sia l’individuo che il mondo. Inoltre, il riconoscimento dell’importanza spirituale del piacere fisico sana in modo naturale la storica frattura tra amore sensuale (eros) e amore spirituale (agape), e questa integrazione favorisce l’emergere dell’identità di un amore genuinamente umano, un amore incondizionato che è contemporaneamente incarnato e spirituale (per una discussione sulle implicazioni di questa integrazione per le relazioni intime cfr. Ferrer, 2007).
5. L’impulso a creare: In Cosmos and History (1982), Mircea Eliade sostiene in modo convincente la natura “ri-costruente” di molte pratiche religiose e di molti riti, ad esempio nel loro tentativo di replicare azioni ed eventi cosmogonici. Ampliando questo resoconto, potremmo dire che la maggior parte delle tradizioni religiose sono “riproduttive” nella misura in cui le loro pratiche mirano non solo a rinverdire ritualmente i temi mitici, ma anche a replicare l’illuminazione del loro fondatore (ad esempio, il risveglio del Buddha) o a raggiungere lo stato di salvezza o di libertà descritto nelle scritture presumibilmente rivelate (ad esempio, il moksa dei Veda). Sebbene i disaccordi sull’esatta natura di tali stati e sui metodi più efficaci per raggiungerli abbondassero nel corso dello sviluppo storico delle pratiche e delle idee religiose – portando naturalmente a ricchi sviluppi creativi all’interno delle tradizioni – l’indagine spirituale era regolata (e probabilmente limitata) da tali obiettivi univoci e predeterminati (Ferrer e Sherman, 2008b).
La spiritualità incarnata, al contrario, cerca di co-creare nuove comprensioni spirituali, pratiche e stati di libertà allargata interagendo con le fonti immanenti e trascendenti dello Spirito. Il potere creativo della spiritualità incarnata è legato alla sua natura integrante. Mentre attraverso la nostra mente e la nostra coscienza accediamo a energie spirituali sottili, già messe in atto nella storia, che mostrano forme e dinamiche stabilite (ad esempio, specifici motivi cosmologici, configurazioni archetipiche, visioni e stati mistici, ecc.), è la nostra connessione con le energie vitali/primarie che consente l’accesso al potere generativo della vita spirituale immanente. In poche parole, quanto più le dimensioni umane partecipano attivamente alla conoscenza spirituale, tanto più la vita spirituale diviene creativa.
Seppure siano chiaramente in gioco molte variabili, la connessione tra energie vitali/primarie e innovazione spirituale potrebbe aiutare a spiegare, innanzitutto perché la spiritualità umana e il misticismo siano stati in larga parte “conservatori”; ossia, i mistici eretici sono l’eccezione alla regola, e la maggior parte dei mistici si sono fermamente conformati alle dottrine accettate e alle scritture canoniche (si veda, ad es., Katz, 1983); e, in secondo luogo, perché molte tradizioni spirituali regolassero rigorosamente il comportamento sessuale, spesso reprimendo o persino proibendo l’esplorazione creativa del desiderio sensuale (vedi, ad es., Cohen, 1994; Faure, 1998; Feuerstein, 1998; Weiser-Hanks, 2000). Non sto suggerendo che le tradizioni religiose abbiano regolato o limitato l’attività sessuale deliberatamente per ostacolare la creatività spirituale e mantenere lo status quo delle loro dottrine. Nella mia lettura, tutte le prove sembrano indicare altri fattori sociali, culturali, morali e dottrinali (si veda, ad es., Brown, 1988; Parrinder, 1980). Ciò che sto suggerendo, al contrario, è che la regolamentazione sociale e morale della sessualità potrebbe aver avuto un inaspettato impatto debilitante sulla creatività spirituale umana per secoli attraverso le tradizioni. Sebbene questa inibizione possa essere stata a volte necessaria in passato, oggi un numero crescente di individui è disposto a un impegno più creativo della propria vita spirituale.
6. Visioni spirituali radicate: Come abbiamo visto, la maggior parte delle principali tradizioni spirituali sostiene l’esistenza di un isomorfismo tra l’essere umano, il cosmo e il Mistero. Da questa corrispondenza deriva che più dimensioni della persona sono attivamente impegnate nello studio del Mistero – o dei fenomeni ad esso associati – più completa sarà la sua conoscenza. Questo “completamento” non va inteso in senso quantitativo, ma piuttosto in senso qualitativo. In altre parole, più dimensioni umane partecipano creativamente alla conoscenza spirituale, maggiore sarà la congruenza dinamica tra l’approccio dell’indagine e i fenomeni studiati e più la conoscenza sarà fondata, coerente, in sintonia con il continuo dispiegarsi del Mistero (Ferrer, 2002, 2008).
A questo proposito, è probabile che molte visioni spirituali passate e presenti siano in qualche misura il prodotto di modi di conoscenza dissociati – modi che emergono principalmente dall’accesso a certe forme di coscienza trascendente, ma disconnesse da fonti spirituali più immanenti. Per esempio, le visioni spirituali che ritengono che il corpo e il mondo siano in definitiva illusori (o inferiori, impure o di ostacolo alla liberazione spirituale) derivano probabilmente da stati dell’essere in cui il senso di sé si identifica principalmente o esclusivamente con le energie sottili della coscienza, sradicandosi dal corpo e dalla vita spirituale immanente. Da questa posizione esistenziale, è comprensibile, e forse inevitabile, che sia il corpo che il mondo siano visti come illusori o difettosi. Questo resoconto è coerente con la visione shivaita kashmira secondo cui la natura illusoria del mondo appartiene a un livello intermedio di percezione spirituale (suddhavidya-tattva), oltre il quale il mondo inizia a essere percepito come una reale estensione del Signore Shiva (Mishra, 1993). In effetti, quando i nostri mondi somatici e vitali sono invitati a partecipare alle nostre vite spirituali, rendendo il nostro senso di identità permeabile non solo alla consapevolezza trascendente ma anche verso energie spirituali immanenti, allora il corpo e il mondo diventano realtà spiritualmente significative, riconosciute come cruciali per la fruizione spirituale umana e cosmica (Ferrer, 2002; Ferrer e Sherman, 2008b).
7. Natura-nel-mondo: Siamo nati sulla terra. Credo appassionatamente che questo non sia irrilevante, un errore o il prodotto di un gioco cosmico delirante il cui obiettivo ultimo è di trascendere la nostra condizione incarnata. Forse, come ci dicono alcune tradizioni, avremmo potuto incarnarci in piani o livelli di realtà più sottili, ma il fatto di averlo fatto qui deve avere un significato se vogliamo impegnare le nostre vite in modo genuinamente sano ed espressivo. Certo, in determinati incroci del cammino spirituale potrebbe essere necessario andare oltre la nostra esistenza corporea per accedere a dimensioni essenziali della nostra identità (soprattutto quando le condizioni esterne o interne rendono difficile o impossibile connettersi con quelle dimensioni all’interno della nostra vita quotidiana). Tuttavia, trasformare questo passaggio in un modus operandi spirituale permanente può facilmente creare dissociazioni nella propria vita spirituale che portano a un corpo devitalizzato, a un blocco dello sviluppo emotivo o interpersonale, a una mancanza di discriminazione nel comportamento sessuale, come dimostrano i ripetuti scandali sessuali di insegnanti spirituali contemporanei occidentali e orientali (si veda, ad es., Storr, 1996; Forsthoefel e Humes, 2005; Feuerstein, 2006).
Se viviamo in una casa chiusa e buia, è naturale sentirsi periodicamente spinti a uscire di casa alla ricerca della luce solare e di un calore corroborante. Ma una spiritualità incarnata ci invita ad aprire le porte e le finestre del nostro corpo, in modo da sentirci sempre completi, caldi e nutriti a casa nostra, anche se a volte vorremmo celebrare lo splendore della luce esterna. La differenza cruciale è che la nostra escursione non sarà motivata da mancanza o da fame, ma piuttosto dal meta-bisogno di celebrare, co-creare e riverire il Mistero creativo universale. È qui, nella nostra casa – la terra e il corpo – che possiamo svilupparci pienamente come esseri umani completi, senza bisogno di “fuggire” da qualche parte per trovare la nostra identità essenziale o sentirci interi.
Non è necessario avere una visione spirituale del mondo per riconoscere il miracolo di Gaia (ovvero la Terra come organismo vivente). Immaginate di viaggiare attraverso il cosmo e di trovare, dopo lunghi periodi di spazio esterno buio e freddo, Gaia, il pianeta blu, con le sue giungle lussureggianti e il suo cielo luminoso, il suo suolo caldo e le sue acque fresche, e l’inestricabile meraviglia della vita cosciente incarnata. A meno che non si sia aperti alla realtà di universi fisici alternativi, Gaia è l’unico luogo nel cosmo conosciuto in cui coscienza e materia coesistono e possono raggiungere un’integrazione graduale attraverso la partecipazione di esseri umani. L’incapacità di percepire Gaia come un paradiso è semplicemente una conseguenza della nostra condizione collettiva di incarnazione bloccata.
8. Risacralizzazione della natura: Quando il corpo è sentito come la nostra casa, anche il mondo naturale può essere recuperato come la nostra patria. Questo “duplice radicamento” nel corpo e nella natura non solo guarisce alla radice lo straniamento del sé moderno dalla natura, ma supera anche l’alienazione spirituale – che spesso si manifesta come “stato di ansia fluttuante” – intrinseca a una condizione umana con un’incarnazione bloccata o incompleta. In altre parole, avendo riconosciuto il mondo fisico come reale ed essendo in contatto con la vita spirituale immanente, un essere umano completo discerne la natura come incarnazione organica del Mistero. Percepire il nostro ambiente fisico come corpo dello Spirito offre risorse naturali per una vita spirituale ecologicamente radicata.
9. Impegno sociale: Un essere umano completo riconosce che, in modo fondamentale, noi siamo le nostre relazioni con il mondo umano e non umano, e questo riconoscimento è inevitabilmente legato a un impegno di trasformazione sociale. Per essere chiari, questo impegno può assumere forme assai diverse, dall’azione sociale diretta o una politica attiva nel mondo (ad es., attraverso il servizio sociale, la critica politica radicata spiritualmente o l’attivismo ambientale) a forme più sottili di attivismo sociale che coinvolgono la preghiera a distanza, la meditazione collettiva o il rituale. Sebbene ci sia ancora molto da imparare sull’effettiva efficacia dell’attivismo sottile, così come sul potere della coscienza umana di influire direttamente sugli affari umani, data la nostra attuale crisi globale, la spiritualità incarnata non può essere separata da un impegno per la trasformazione sociale, politica ed ecologica – qualunque forma essa possa assumere.
10. Integrazione di materia e coscienza: La spiritualità disincarnata si basa spesso sul tentativo di trascendere, regolare e/o trasformare la realtà incarnata dal punto di vista “superiore” della coscienza e dei suoi valori. La dimensione esperienziale della materia come espressione immanente del Mistero viene generalmente ignorata. Questa miopia porta a credere – in modo conscio o inconscio – che tutto ciò che riguarda la materia sia estraneo al Mistero. Questa convinzione, a sua volta, conferma che materia e Spirito sono due dimensioni antagoniste. Diventa allora necessario abbandonare o condizionare la dimensione materiale per rafforzare quella spirituale. Il primo passo per uscire da quest’impasse è riscoprire il Mistero nella sua manifestazione immanente; vale a dire smettere di vedere e trattare la materia e il corpo come qualcosa non solo estraneo al Mistero, ma che ci allontana dalla dimensione spirituale della vita. Una possibilità affascinante da considerare è che una piena integrazione delle energie spirituali immanenti e trascendenti nell’esistenza incarnata potrebbe gradualmente aprire le porte a una longevità straordinaria o ad altre forme di funzionamento meta-normale attestate dalle tradizioni mistiche del mondo (si veda, ad es., Murphy, 1993).
Un’ultima parola
Concludo questo saggio con alcune riflessioni sul passato, sul presente e sul potenziale futuro della spiritualità incarnata. In primo luogo, come suggerisce anche uno studio sommario delle biografie di figure spirituali e dei mistici di tutte le tradizioni, la storia spirituale dell’umanità può essere letta, in parte, come una storia delle gioie e dei dolori della dissociazione umana. Dalle estasi mistiche messe in atto asceticamente alle realizzazioni monistiche che negano il mondo, dalla sublimazione sessuale che coinvolge il cuore alle lotte morali (e ai fallimenti) dei maestri spirituali antichi e moderni, la spiritualità umana è stata caratterizzata da un impulso irrefrenabile verso la liberazione della coscienza che troppo spesso ha avuto luogo a spese del sottosviluppo, della subordinazione o del controllo di caratteristiche umane essenziali come il corpo o la sessualità. Questo resoconto non intende condannare le spiritualità del passato, che possono essere state a volte – anche se non sempre – perfettamente legittime e forse persino necessarie nei loro tempi e nei loro specifici contesti, ma semplicemente evidenzia la rarità storica di una spiritualità pienamente incarnata o integrata.
In secondo luogo, in questo saggio ho esplorato come una vita spirituale maggiormente incarnata possa emergere oggi dal nostro impegno partecipativo sia con l’energia della coscienza sia con le energie sensuali del corpo. In definitiva, la spiritualità incarnata cerca di catalizzare l’emergere di esseri umani completi – esseri che, pur rimanendo radicati nei loro corpi, nella terra e nella vita spirituale immanente, hanno reso tutti i loro attributi permeabili alle energie spirituali trascendenti e che cooperano in modo solidale con gli altri nella trasformazione spirituale di sé, della comunità e del mondo. In breve, un essere umano completo è saldamente radicato nello “Spirito-Dentro”, completamente aperto allo “Spirito-Oltre”, e in comunione trasformativa con lo “Spirito-Tra”.
Infine, la spiritualità incarnata può accedere a molte rivelazioni spiritualmente significative di sé e del mondo, alcune delle quali sono state descritte dalle tradizioni contemplative mondiali, mentre altre, per il loro aspetto inedito, potrebbe richiedere un coinvolgimento più creativo per affiorare. In questo contesto, la spiritualità incarnata emergente nel mondo occidentale può essere vista come una moderna esplorazione di una “prassi spirituale incarnata”, nel senso che è orientata verso la trasformazione creativa della persona incarnata e del mondo, la spiritualizzazione della materia, il radicamento sensuale dello Spirito e, in ultima analisi, l’incontro tra cielo e terra. Chissà, forse man mano che gli esseri umani, incarnando gradualmente sia le energie spirituali trascendenti che quelle immanenti – una duplice incarnazione, per così dire – potranno rendersi conto che è proprio qui, su questo piano di realtà fisica concreta, che si sta svolgendo il punto più elevato della trasformazione e dell’evoluzione spirituale. Allora il pianeta Terra potrebbe gradualmente trasformarsi in un paradiso incarnato, un luogo forse unico nel cosmo dove gli esseri possono imparare a esprimere e ricevere l’amore incarnato, in tutte le sue forme.
Traduzione di Federico Battistutta
Nota dell’autore: I chakra, il cui numero varia secondo le tradizioni, sono sottili centri energetici del corpo vivente che immagazzinano e canalizzano la forza vitale (pranasakti) dell’individuo. La tradizione tantrica indiana identifica sei di questi centri, situati rispettivamente alla base della colonna vertebrale (muladhara), nell’area sessuale pelvica (svadhisthana), nel plesso solare (manipura), nel cuore (anahata), nella gola (visuddha) e nel centro delle sopracciglia o “terzo occhio” (ajna) (Basu, 1986). Dato che tutti questi centri sono stati considerati in molte pratiche religiose, la tendenza principale è stata quella di trasmutare le espressioni primarie della forza vitale – collegate ai chakra inferiori – nelle qualità sottili e nelle estasi del cuore e della coscienza, collegate ai chakra superiori. Se accettiamo la concezione indiana della forza vitale primordiale (sakti) come femminile e della coscienza (shiva) come maschile, la pratica tantrica tradizionale può essere vista come una sorta di “patriarcato interiorizzato” in cui le energie femminili sono usate al servizio di obiettivi ed espressioni maschili.
Nota del traduttore: Pur avendo presente che l’espressione “incorporato” è oggi largamente usata in alcuni ambiti (come le neuroscienze o la neurofenomenologia), si è preferito tradurre il termine embodied con “incarnato”, per rendere evidente l’antitesi con l’espressione “disincarnato”, comune a molte tradizioni spirituali, di cui si parla nel testo, finalizzate a liberare lo spirito dai limiti corporei.
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Jorge Ferrer è uno psicologo, ha insegnato presso il California Institute of Integral Studies, l’Institute of Transpersonal Psychology e l’Esalen Institute. In italiano è stato tradotto il saggio Una re-visione della psicologia transpersonale (2009).