Che cos’è la misticopolitica?

di Federico Battistutta

Introdurre un neologismo – in questo caso “misticopolitica” – vuol dire avventurarsi a scandagliare quell’arcipelago di pensieri e di pratiche oggi emergenti, alla ricerca di uno sfondamento di orizzonti oltre le consuete forme di rappresentazione e di mediazione presenti sia nel mondo della spiritualità che in quello della politica. Il presente articolo – già uscito sul periodico “Adista” nel 2021 e, in una nuova versione, in inglese sul sito nordamericano https://politicaltheology.com/ nel 2023 – viene ora riproposto rinnovato.

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Muoversi attraverso il linguaggio è importante per noi esseri umani, significa sapersi muovere e districare nella vita. Quando nasciamo ereditiamo un linguaggio che in qualche modo accompagna la nostra esistenza e con esso ci orientiamo. Ma a volte ci accorgiamo che non è sufficiente, le parole disponibili non bastano, il vocabolario è incompleto e le parole ereditate non riescono a raccontare l’esperienza che stiamo vivendo, al punto che avvertiamo una tensione tra il linguaggio e l’esperienza vissuta.

Un filosofo del XX secolo disse che i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo. Ecco perché a un certo punto mi trovo a dover forzare i limiti del linguaggio a mia disposizione per cercare di dire qualcosa del mondo in cui provo a vivere. Allora nascono nuove parole, spuntano come frutti maturi. Questo è ciò che fanno i poeti, ma non sono solo i poeti a esercitare questa funzione creativa: essa appartiene a tutti, a tutti coloro che ne sentono pienamente il bisogno. Ed è proprio il tempo che stiamo vivendo a chiedere a gran voce un rinnovamento nelle parole e nelle azioni. Un intellettuale attento come Michel de Certeau ha scritto che la spiritualità risponde alle domande di un certo tempo e allo stesso tempo non risponde al di fuori dei termini stessi della domanda.

La parola misticopolitica è stata coniata dalla teologa italiana Antonietta Potente (Potente, 2014) e proprio alla misticopolitica ho dedicato qualche anno fa un mio breve saggio (Battistutta, 2022). La parola desidera indicare un campo di esperienza che non può più essere contenuto in compartimenti rigidi e stagni. Indica da un lato il misticismo e il suo interiorizzarsi, dall’altro la politica e il suo attivismo. Ora, questi due contenitori non contengono più, perché c’è un eccedenza di significato e di vita vissuta che li oltrepassa per scorrere e alimentare i flussi infiniti delle nostre relazioni. Misticopolitica, piuttosto che mistica e politica, su cui è già stato scritto molto. Penso, ad esempio, al ponderoso lavoro di Michel de Certeau in cui viene indagato il complesso rapporto tra i due piani nel periodo tra il XVI e il XVII secolo (de Certeau, 1975). 

Inoltre, se vogliamo considerare il complesso rapporto tra mistica e politica, dobbiamo tenere presente come gli intrecci misticopolitici possano essere rintracciati e decodificati nei segni del passato, riconoscibili fin nelle lettere paoline (si veda in particolare la particolare lettura fornita da Jacob Taubes – cfr. Taubes, 1997) o nelle figure profetiche, eretiche e visionarie presenti nelle varie epoche storiche, come Marguerite Porete, William Blake, Charles Fourier o Simone Weil, per fare solo alcuni esempi.

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Non solo. Nel procedere non dovremmo limitarci a osservare i punti di contatto tra questi due campi di esperienza; piuttosto, sarebbe utile impegnarsi ad accedere a una possibile fonte loro comune. Dove va sottolineato, senza dare nulla per scontato, che la mistica non è da intendere come  fuga mundi, con l’implicito e scellerato dualismo tra spirito e materia. Merita anzi ricordare come già la fuga dei monaci nei deserti di Palestina e Siria, tra il III e IV secolo, possedeva un significato politico intrinseco: il rifiuto del legame con il potere imperiale appena istituito, che da quel momento in poi avrebbe attraversato e inquinato la storia del cristianesimo (Campo, 1975). E poi, oggi, anche a volerlo, come può darsi possibilità di una fuga mundi? Fuggire dove, quando l’intero pianeta è controllato e messo a profitto, con i deserti del Medio Oriente divenuti luoghi di guerra senza fine all’interno di scenari geopolitici in rapida trasformazione?

E’ utile pure ribadire che la dimensione religiosa, anche nella sua componente mistica, non è mai separabile dalla dimensione politica. Tutto avviene sempre e comunque all’interno della polis. L’esperienza sia religiosa che politica, quando sono autentiche, mettono in gioco i fondamenti stessi dell’esistenza, attingendo alle medesime viscere della realtà. A questo proposito, un autore come Raimon Panikkar ha osservato che se è vero che una commistione acritica di religione e politica conduce a forme di totalitarismo più o meno teocratico, la loro separazione porta da un lato a una religiosità ultraterrena e dall’altro alla politica come governance, come esercizio cinico del potere (Panikkar, 1994). La soluzione, aggiungeva, consiste nel porsi in una prospettiva non dualistica (advaita, secondo il lessico hindu). La misticopolitica vuole percorrere questo riconoscimento. Avendo al contempo chiaro che sia la politica che la spiritualità non possono essere relegate alle rispettive istituzioni, né ad attività esclusive per addetti ai lavori: l’esperienza politica non è una specialità per politici o politologi, così come l’esperienza spirituale non è monopolio esclusivo delle Chiese. 

Ma questa esigenza di rinnovamento non dovrebbe essere limitata a questi due ambiti, quello spirituale e politico, perché di fronte all’attuale crisi epocale che coinvolge e travolge i più diversi livelli della vita (ecologico, demografico, politico, psicologico, sanitario, economico, finanziario, spirituale …) c’è un bisogno radicale di cambiamento che investe trasversalmente ogni aspetto dell’esistenza. La prospettiva misticopolitica aspira a collocarsi proprio sul piano di queste emergenze.

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Ma qual è la fonte comune di quest’esperienza? E’ innanzitutto il corpo come luogo di conoscenza e di relazione con il mondo, un’esperienza viva e situata che mette in relazione interiorità ed esteriorità. C’è una dimensione interiore che apre un mondo vasto, infinito e indefinito, quindi non immediatamente traducibile in formule e codici conosciuti. È, in fondo, l’esperienza centrale alla base delle stesse religioni. Le Chiese, come scriveva William James nella sua opera pionieristica sulla fenomenologia dell’esperienza religiosa, una volta istituite vivono di seconda mano sulla tradizione codificata, mentre i loro fondatori l’avevano tratta da un’esperienza personale (James, 1945). James aveva anche individuato alcuni criteri per definire l’esperienza mistica: l’ineffabilità (l’esperienza mistica deve essere vissuta in prima persona), l’intuizione (è il risultato di una forma di conoscenza non ordinaria), l’instabilità (questa condizione, salvo rare eccezioni, non è permanente) e la passività (può esserci attività nella fase di induzione, ma, una volta avvenuta la transizione, il soggetto è passivo). Ed è proprio a causa di questo accesso diretto che i mistici si sono spesso trovati confinati ai limiti dell’eresia, poiché la loro esperienza e i racconti che ne hanno tratto non sempre coincidevano con le verità codificate. Su questo, Gershom Scholem ha condotto importanti riflessioni indagando il rapporto tra autorità religiosa e misticismo: il mistico, essendo in rapporto diretto e produttivo con l’oggetto della sua esperienza, spesso rompe con l’autorità e il rispetto della tradizione (Scholem, 1980). Non solo, di fronte alla dissoluzione dei legami tradizionali che caratterizza il nostro tempo, può esserci, sempre secondo Scholem, un’esperienza mistica al di fuori dei consueti contesti religiosi. Del resto de Certeau affermava che questo genere di rotture è un elemento invariante nella storia della spiritualità.

Il punto di partenza allora è proprio il rapporto tra il nostro corpo e il mondo con cui entriamo in relazione. Ad esempio, per molto tempo un ecoteologo come Thomas Berry ha ripetuto come nella nostra società stessimo perdendo il rapporto con le manifestazioni del sacro e, nonostante questa evidenza, anziché cercare i segni nel mondo che ci circonda, provando a sentirli e percepirli in prima persona, si è preferito continuare a leggere i testi sacri (Berry, 1991). Non possiamo più, insisteva, ancorarci ai testi religiosi, anzi, invitava espressamente a mettere da parte le Scritture per riscoprire le fonti della spiritualità proprio all’interno di un rinnovato rapporto con il mondo naturale: è vero, i Salmi ci dicono che le montagne e gli uccelli lodano Dio, ma per saperlo dobbiamo rivolgerci alle Scritture. Perché, concludeva Thomas Berry, non proviamo invece a trarre i nostri sentimenti più profondi dall’esperienza diretta con gli alberi, le montagne, i fiumi, i mari e i venti? Perché non sappiamo rispondere religiosamente a queste realtà? Dove “religiosamente” allude letteralmente alla capacità di re-ligāre, di riattivare un legame fondante con la realtà che ci circonda e ci avvolge, come indica uno dei possibili significati originali della parola (cfr. Benveniste, 1976). Ecco, questo potrebbe essere un possibile inizio, tra i tanti, di un percorso misticopolitico.

È necessario però chiarire che quando qui parliamo di mistica non intendiamo misurarci con il “grande misticismo”, con le sue figure autorevoli e dai tratti spesso leggendari, che le varie tradizioni religiose celebrano e dinanzi al quale rimaniamo per lo più impotenti spettatori. Piuttosto, rispetto a ciò di cui stiamo parlando, è sufficiente la “piccola mistica”, alla portata di tutti, che riguarda esperienze che possono benissimo avvenire al di fuori dalle sfere confessionali e quindi condivise da soggetti agnostici o indifferenti in materia religiosa o che abbracciano un’eterogeneità di credenze. A questo proposito il filosofo e indologo Michel Hulin ha coniato il termine “mistica selvaggia” per definire una simile varietà di fenomeni (Hulin, 2012). Dal canto suo, un pensatore dichiaratamente ateo come André Comte-Sponville (fu, fra l’altro, allievo e amico di Althusser) ha tratteggiato i lineamenti di una spiritualità atea, senza far appello ad alcuna forma di trascendenza, coniando il termine di “immanensità”, un’esperienza in cui la sensazione di immensità si dispiega su un piano di immanenza. C’è un’eccedenza di senso nella quale sentiamo di partecipare al tutto e questo tutto va oltre ciò che noi siamo, aprendosi in più direzioni; ci contiene, ma al tempo stesso ci oltrepassa, pur manifestandosi dentro un immanenza inesauribile e indefinita (Comte-Sponville, 2007).

Con la “mistica selvaggia” e l’“immanensità” c’imbattiamo in esperienze diverse ma dai tratti comuni, che possono verificarsi sia volontariamente che involontariamente. Giusto a titolo di esempio: il trovarsi di fronte alla spettacolarità degli elementi naturali, alla potenza delle immagini oniriche, al limite estremo della stanchezza fisica e psichica (esperienze che non sempre si verificano in contesti apollinei) o, viceversa, a stati di esuberanza festosa, all’alterazione prodotta dall’ascolto di musica, dalla danza o da sostanze, ma anche all’abbandono nella relazione amorosa. Con le parole di un grande visionario come William Blake: “Se le porte della percezione fossero pulite, tutto apparirebbe all’uomo così com’è, infinito”.

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Ma alla fine, cosa ne facciamo di queste esperienze? Questo elogio della “mistica selvaggia” non rischia di nascondere un lato ambiguo, se non oscuro, dell’argomento? Queste esperienze non finiscono per confinarci in una breve oasi festiva all’interno di una vita quotidiana dai tratti spesso insoddisfacenti, punteggiata da insicurezza, paura, ingiustizia e infelicità diffuse? Questi stati di effervescenza non sono forse lo specchio dell’anestesia del corpo sociale prodotta oggi dall’uso massiccio di antidepressivi, sedativi, ipnotici o altro per disciplinare sentimenti e relazioni, con cui accettare un presente altrimenti inaccettabile? O, nella migliore delle ipotesi, non si riduce a un’esperienza estetica, appagante quanto si vuole, ma reclusa alla sfera personale, lasciando così intatta la trasformazione dell’ordine sociale?

Se questa prospettiva vuole rivendicare anche un valore politico, deve trovare un canale di espressione affinché diventi agire comunicativo, principio-speranza, pratica politica. L’esperienza mistica, che è un fuoriuscire dagli abituali confini tra un soggetto conoscente e un oggetto conosciuto, una volta avvenuta, invece di essere un luogo di rifugio da custodire gelosamente, può al contrario costituire una ricchezza da condividere, la ricerca di una nuova visione della vita, l’apertura a una diversa qualità del sentire, la paziente realizzazione di una diversa rete di relazioni tra sé, la propria e le altre specie, l’ecosistema e il pianeta in cui viviamo, fino a sentirsi parte viva e attiva di un grande organismo vivente, un campo in cui il mitico e il scientifico, il politico e il religioso si contaminano a vicenda. In altre parole, può diventare il passaggio in cui l’uscire da sé apre alla vita nella sua pienezza e orienta verso un’etica e una politica incorporate, una pratica tutta da costruire.

Infine, l’ipotesi misticopolitica qui tratteggiata può costituire una possibile risposta al neoliberismo, che è diventato la religione del nostro tempo. Questa affermazione non vuol essere un’espressione iperbolica; non è un caso se Harvey Cox, un teologo diventato famoso per la sua teologia della secolarizzazione (aperta quindi alle trasformazioni della società), sia intervenuto sull’argomento definendo il neoliberismo una pseudo-religione, come aveva già previsto con largo anticipo Walter Benjamin negli anni Venti (Benjamin, 2013). Secondo il teologo nordamericano, il neoliberismo è la religione contraffatta di questo tempo, con il suo sistema di credenze postulato come irrefutabile, a partire dall’individualismo ontologico elevato a dogma indiscutibile. La società odierna è preda di una divinizzazione del mercato che pretende di soddisfare le stesse domande a cui un tempo rispondevano le speranze religiose. Il mercato si presenta così come un dogma, onnisciente, onnipotente e onnipresente, in cui nulla può sfuggire al suo potere di mercificazione, poiché non gli mancano dottrine, profeti e zelo missionario per convertire il mondo alla propria immagine e al conseguente stile di vita (Cox, 2017).

Proprio nel condividere la denuncia di questa pseudo-religione con i suoi effetti nefasti, l’ipotesi misticopolitica, intesa come un’idea e una pratica in continua evoluzione, può costituire oggi un tema di confronto collettivo, sia nella teoria che nella pratica quotidiana per un ripensamento radicale sia della spiritualità che della politica.

 

Bibliografia

Battistutta F., Misticopolitica. Orizzonti della spiritualità post-religiosa, Effigi, Arcidosso 2022.

Benjamin W., Il capitalismo come religione, Il melangolo, Genova 2013.

Benveniste E., “Religione”, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Einaudi, Torino 1976.

Berry T., Befriending the Earth, Twenty Third, Mystic (Connecticut) 1991.

Campo C., “Introduzione” a Detti e fatti dei Padri del deserto, Rusconi, Milano 1975.

Comte-Sponville A., Lo spirito dell’ateismo, Ponte alle grazie, Milano 2007.

Cox H., Il mercato divino, EDB, Bologna 2017.

De Certeau M., Politica e mistica, Jaca Book, Milano 1975.

Hulin M., La mistica selvaggia, IPOC, Milano 2012.

James W., Le varie forme dell’esperienza religiosa, F.lli Bocca, Milano 1945.

Panikkar R., Il “daimon” della politica: agonia e speranza, EDB, Bologna 1994.

Potente A., Segrete trame della vita: il complesso tessuto misticopolitico, https://diotimafilosofe.it/larivista/segrete-trame-della-vita-il-complesso-tessuto-misticopolitico/ 

Scholem G., “Autorità religiosa e misticismo”, La Kabbalah e il suo simbolismo, Einaudi, Torino 1980.

Taubes J., La teologia politica di San Paolo, Adelphi, Milano 1997.

 

Federico Battistutta è un ricercatore indipendente nel campo del religioso contemporaneo, si interessa in particolare di aree di frontiera (spiritualità secolare e misticopolitica, ecosofia ed ecospiritualità, dialogo interreligioso e interculturale). Il suo ultimo libro è Misticopolitica. Orizzonti della spiritualità post-religiosa (2022). Fa parte del Collettivo Trickster.

Parole chiave: mistica, politica, misticopolitica, mistica selvaggia.