La Cerva “inquietante”: Xka Pastora, Salvia divinorum

di Giovanni Illario Suffìa
In questo articolo viene ricostruita la complessa e, in parte, sotterranea storia dell’enigmatica Salvia divinorum, la Xka Pastora dei Mazatechi, nel significato simbolico e rituale nell’uso cerimoniale e nella storia dell’etnobotanica dei “rubios” occidentali che hanno studiato questa pianta. Il testo di Giovanni Illario Suffìa è stato originariamente presentato al convegno Piante e Popoli del 2021.
Scarica il pdf: UNA CERVA INQUIETANTE
Siamo un popolo povero e non abbiamo né medici né medicine. Per questo Gesù ci ha donato [le piante sacre]. Non poteva mica star qui accanto a noi per sempre. [José Dorantes, commerciante mazateco, a Richard E. Shultes in Davis, 2017: 188]
- Xi̱ta̱iníma̱
Mazatecatl è una parola nahuatl, la lingua parlata dagli Aztechi. Vuol dire “Quelli dei Cervi” ossia “il Popolo dei Cervi” (Mooney, 1911). I Mazatechi pensavano che questi animali fossero i veri dueños (cioè i “Padroni” o “Signori”) delle loro montagne e così dai Cervi derivò il loro nome. Prima dell’arrivo degli Spagnoli, i monti e le valli della Sierra mazateca erano davvero il “Paese dei Cervi”; lì nessuno dava loro la caccia ed essi, mansueti e semi-addomesticati, vagavano tranquilli pascolando tra i boschi della regione. Si narra che quando i Conquistadores iniziarono a esercitare il loro sanguinoso predominio sulle terre Mazateche, gli sciamani di quei luoghi, con un potente rito segreto, sottrassero le anime da quegli invasori per occultarle dentro il corpo dei Cervi. In tal modo, ogni qualvolta uno di questi animali fosse caduto vittima di un empio cacciatore, per quello stesso atto brutale l’ignaro assassino avrebbe condannato sé stesso alla distruzione, alla perdita dell’anima [1].
I Mazatechi chiamano invece sé stessi Xi̱ta̱iníma̱ o ha shuta ènima, (che significa “Quelli che lavorano sodo sui monti e che si comportano senza superbia”, vale a dire “la gente umile”, “i soliti”, “quelli di tutti i giorni”. Oggi sono circa 230 mila [2] e risiedono tuttora nella zona montuosa nordoccidentale dello stato di Oaxaca, la Sierra mazateca, soprattutto nella regione montana denominata Cañada [3] e, più in basso, abitano anche la valle di Papaloapan-Tuxtepec. Laggiù, la costruzione della diga Miguel Aleman, tra il 1949 e il 1954, portò alla formazione del lago omonimo che sommerse le basse terre con tutte le coltivazioni della valle, costringendo più di 20000 mazatechi a migrare per cercare un futuro migliore nella Capitale federale messicana, negli USA e in Canada.
Il territorio impervio della Sierra, che non facilita gli scambi, ha presumibilmente influito sulla notevole varietà del linguaggio mazateco. Esistono ben 16 varianti dialettali della loro parlata [4], tanto che non sempre i Mazatechi riescono a comprendersi bene tra di loro. La loro è una lingua tonale, cioè una lingua in cui la variazione del tono con cui si pronuncia una stessa sillaba ne definisce il significato o l’appartenenza a una determinata categoria grammaticale. Il mazateco, nella sua pronuncia impiega almeno cinque toni, quasi quanti le note musicali, e questo permette loro di intonarla, traducendola in fischi caratteristici per ogni sillaba modulata. In questa maniera i Mazatechi riescono a intendersi benissimo anche solo fischiando, cosa che permette loro di comunicare anche a grande distanza (ed è una tecnica molto utile in quel loro territorio montano caratterizzato da profonde e strette vallate). Le donne Mazateche non adoperano quasi mai il linguaggio dei fischi, dal momento che usarlo sminuirebbe un po’ la loro dignità, ma tutte lo intendono benissimo, tanto da reagire con sonori schiaffoni agli eventuali commenti sonori emessi al loro indirizzo dai maschi impertinenti. Anche le persone anziane ricorrono più raramente dei giovani alla lingua dei fischi, benché l’abbiano appresa insieme alle loro prime parole.
Termini come “varietà”, “diversità”, “alterità” sono forse i più adatti per caratterizzare tutte le molteplici forme della vita nello Stato di Oaxaca: lì troviamo 1431 differenti specie di vertebrati terrestri (tra uccelli, mammiferi, rettili e anfibi), in pratica il 50% delle specie animali di tutto il Messico, come pure un terzo di tutte le specie vegetali del Paese. Lo stato di Oaxaca è anche quello in cui vivono più popoli nativi. Secondo l’Istituto nazionale indigeno, almeno 17 gruppi etnici abitano ancora in questa regione. Benché siano abbastanza affini ai loro vicini Mixtechi e Zapotechi, i Mazatechi, popolo di montanari, mantengono costumi più austeri e sono sempre rimasti molto orgogliosi della loro identità specifica. Combatterono sempre per difendere la loro indipendenza finché nel 1455 gli Aztechi riuscirono a soggiogarli e stabilire guarnigioni militari a Teotitlán e a Tuxtepec. La sottomissione terminò con l’arrivo degli Spagnoli, con i quali nel 1519 strinsero un’alleanza per affrancarsi dai Mexicas, senza sapere che in breve tempo e per molte e molte generazioni future, gli ex “alleati” Europei sarebbero diventati i loro spietati dominanti. Il dominio spagnolo alterò profondamente l’organizzazione sociale ed economica propria dei Mazatechi, quanto i loro sistemi giuridici e simbolici. Le malattie epidemiche portate dagli Ispanici, come il vaiolo e il morbillo (chiamate matlalzahuatl e cocoliztli dagli Aztechi), insieme ai maltrattamenti, alla malnutrizione e ai pesanti lavori cui vennero assoggettati, portarono questa etnia vicino all’estinzione, una catastrofe demografica condivisa con tutti gli altri popoli precolombiani delle Americhe. Dei 25mila abitanti nella Sierra Mazateca stimati all’epoca del primo contatto con i Conquistadores, alla fine del secolo XVI non ne sopravvivevano più di 2500.
I Mazatechi parteciparono, nel tempo, ai diversi movimenti armati di liberazione del Messico partecipando alla lotta per l’indipendenza dalla Spagna e alla resistenza contro l’intervento francese del 1862. Durante la Rivoluzione messicana, nei primi anni del secolo scorso, insorsero al fianco dei rivoltosi che lottavano per rivendicare terra e libertà per i peones, come i fratelli libertari Jesus, Ricardo ed Enrique Flores Magón, nati sui monti della Cañada e loro stessi con radici Zapoteche e Mazateche. I tre rivoluzionari trascorsero l’infanzia vicini alle comunità indigene della Sierra, dove il loro padre era considerato un tata (capo) e in questa prossimità assimilarono le basi del pensiero di quei popoli, colmo dei principi di un comunismo libertario autoctono, che in seguito Ricardo ed Enrique delinearono con la lettura dei pensatori anarchici.
D’altra parte, il Popolo dei Cervi parve accettare senza troppe resistenze apparenti l’evangelizzazione cristiana indotta a forza dai missionari Domenicani e Gesuiti, eppure rimase sempre intimamente fedele alle proprie credenze precedenti, tanto da arrivare a seppellire, talvolta, le raffigurazioni delle loro divinità sotto gli altari cattolici, così da poterle venerare anche quando si inchinavano davanti alla Croce. Anche ai nostri giorni, benché si manifestino esternamente come devoti fedeli alla Chiesa Cattolica e mostrino rispetto e affezione verso il clero locale, gli shuta enima non hanno abbandonato le antiche consuetudini né la pratica della maggior parte delle loro cerimonie ancestrali.
Per loro la vita si svolge su due piani; uno è quello delimitato dal “mondo in cui tutti viviamo” [so’nde ñia tiyo chuan: dove so’nde significa mondo, ñia dove, tiyo stiamo e chuan vivere] e l’altro è “il mondo delle anime sante” (so’ndele nima santo:). Questa dualità rivela quanto sia centrale, per i Mazatechi, la concezione di avere accanto un “Altrove” che li circonda in ogni istante. Entrambe le realtà ontologiche del mondo sono sempre presenti, non vi sono divisioni ed esse non sono neppure parallele; la loro visibilità dipende solo dal canale percettivo tramite cui le si sperimenta. Da tempo questo Popolo ha messo in atto continue strategie per relazionarsi con i diversi Altri: già ai tempi dell’Impero Azteco e poi della Conquista e poi fino a ora, si sono trovati a dover fronteggiare e mediare con il Vicereame della Nuova Spagna, lo Stato federale del Messico, le istituzioni, i gruppi religiosi, i commercianti forestieri, gli hippies, i turisti, nazionali ed esteri, gli studiosi e i giornalisti, tanto per nominarne alcuni. La loro vita quotidiana e la sua permanenza nel “mondo di tutti i giorni” è legata profondamente anche alle relazioni che si stabiliscono con le figure del “mondo delle anime sante”, dove ognuna di queste entità va considerata con le sue proprie caratteristiche e con i suoi peculiari poteri intrinseci. Da tempo immemorabile, nella “loro” storia, hanno dovuto negoziare protezione, risorse e informazioni con i “dueños”, i chikones e güeros ancestrali e poi, negli ultimi 500 anni, anche con quel Dio, il Gesù Cristo, le Vergini e i Santi che hanno dovuto adottare per forza, ma forse, anche saputo “modificare”.
Chikones e güeros (o rubios), come i Cervi di un tempo, sono anch’essi i dueños (i Proprietari, patroni e custodi) dei luoghi della Sierra mazateca. La loro presenza è abituale sulle montagne, lungo i fiumi e dentro le grotte. Si caratterizzano per la loro benevolenza, e per questo sono oggetto di varie richieste di appoggio, ma nello stesso tempo sono altrettanto temuti per la loro capacità di sequestrare lo spirito umano. Con il termine güero e rubio i Mazatechi si riferiscono anche a tutti i vari tipi di stranieri (ricercatori, antropologi, hippies e turisti vari) che arrivano nella loro Sierra. Troveremo dunque nello Spazio abitato quotidianamente dagli Ha shuta ènima, i “chikones” del monte, dell’acqua e della terra, cioè proprio le “anime” degli spazi fisici e delle risorse di base per la loro vita materiale quotidiana. Nella sua tormentata e faticosa storia, proprio grazie alla sua grande immaginazione, il Popolo dei Cervi ha creato un universo pieno di meraviglie e di incanti, di relazioni, di mediazioni e resistenze verso l’Altro, eppure questo loro cosmo è anche intriso di costanti pericoli e rischi e per viverlo è necessario star sempre in guardia, dato che i “dueños” del mondo “altro”, nella loro pericolosa vicinanza ancestrale, cercano continuamente di ingannare gli uomini. Tuttavia, con questi Esseri è stato stabilito un patto di mutuo rispetto per ciò che riguarda gli spazi del vivere quotidiano. Accordi diretti con le entità del “mondo delle anime sante” (so’ndele nima santo) si possono prendere e sono possibili proprio grazie all’ingestione rituale dei funghi, i “piccini che germinano” e delle altre piante di potere, dato che queste potenti chiavi vegetali permettono di “vedere” e donano alla persona un particolare stato dell’“essere” che supera le condizioni del mondo “ordinario”, e li accompagna là, nell’Altrove, dove le possibilità sono infinite.
I niños santos, cioè i funghi del genere Psilocybe, i Mazatechi li chiamano ndi xi tjo, i “piccini che nascono” (ndi è una particella che esprime affetto e rispetto, xi è una congiunzione e tjo si riferisce all’atto di nascere o germinare) che, tra gli altri esseri “poderosi”, sono proprio quelli più forti e potenti, quelli provvisti di un corpo con una testa e perfino con un piede, quelli fatti di una carne che racchiude un’energia immateriale dotata di varie capacità appartenenti al mondo delle anime sacre. «Sanno tutto e vedono tutto, a loro non si può mentire […] hanno un padre (Dio padre creatore) e una madre (la Terra)» (Rodriguez Venegas, 2017). Così dicono i Mazatechi e alcuni non sanno precisare se siano maschi o femmine, mentre altri, proprio per la loro forza, li considerano di genere maschile.
Dal 10 al 29 giugno, nel mese chiamato chumatì (“mese arrabbiato”), al Paese dei Cervi iniziano le piogge stagionali più intense e, con il loro arrivo, spuntano i funghi. Anche nel mese successivo, quello che si chiama shintha (“tempo avverso” o “tempo di fatiche”), nella Sierra continua a piovere: di solito questa è un’epoca adatta alle attività agricole del diserbo e della pulizia in generale, quindi è analogamente un buon momento per curare malattie e squilibri consultando i funghi. Questo periodo favorevole, in cui vi è abbondanza di niños santos, talvolta può anche durare fino a metà ottobre. Dunque, i “piccini che germogliano” hanno una stagione ben precisa e delimitata durante l’anno; quando arrivano i mesi in cui è molto difficile trovarli, i Mazatechi impiegano un’altra pianta “poderosa”: l’erba Xkà Pastora, cioè le foglie della Pastora, nota ai botanici come Salvia divinorum Epling & Játiva-M., una pianta sacra che cresceva originariamente soltanto nel Paese dei Cervi. Questa misteriosa erba, della famiglia della menta e della salvia officinale, è stata teuta talmente segreta che solo fino a 60 anni fa nessun bianco l’aveva mai vista con i propri occhi. Soltanto il popolo degli Xi̱ta̱iníma̱, “Quelli di tutti i giorni”, almeno durante gli ultimi cinque secoli, aveva stabilito, e saputo mantenere, una particolare relazione esclusiva con questa Pianta timida e potente.
- Rubios
Dopo il loro drammatico sbarco dal Mare Oceano, i Conquistadores compilarono diverse cronache che descrivevano con chiarezza la vita quotidiana, i costumi, le credenze dei Popoli nativi che avevano incontrato e sottomesso con la forza. In quei testi sono descritti accuratamente anche i rituali celebrati con le piante psicoattive della Nueva España. Oggi li possiamo ancora leggere nei vari Codici conservati, nei Trattati e nelle Relazioni redatte nel XVI secolo dai religiosi e dai nuovi amministratori europei della Colonia.
Nella temperie della Controriforma, delle guerre di religione e della caccia alle Streghe, le severe proibizioni del clero arrivarono ben presto nel Nuovo Mondo e si rivolsero contro i caparbi seguaci di queste pratiche, sicuramente perverse e “diaboliche” per quegli occhi europei. Fu così che l’utilizzo delle piante di potere, peyotl, teonanàcatl, ololiuqui e tlitliltzin [5] si occultò in un ambito clandestino, per non cadere sotto i colpi del martello del Tribunale del Santo Ufficio. Nonostante questo oscuramento, secondo Aguirre Beltrán (1963), gli schiavi deportati dall’Africa integrarono diverse specie di piante magiche nelle loro pratiche. Perfino alcuni Spagnoli e Creoli vi fecero ricorso, direttamente oppure indirettamente, interponendo una persona di servizio oppure uno schiavo nella loro consultazione a scopo divinatorio (Aguirre Beltrán, 1963). Dalla metà degli anni ‘30 del secolo scorso diverse spedizioni iniziarono a percorrere le remote località del Messico centrale per cercare conferme sulla loro effettiva esistenza, riportata negli gli antichi Codici; scoprirono ben presto che tra le popolazioni native più isolate, e tra esse anche nel Popolo dei Cervi, l’uso delle piante che inducono visioni non si era mai spento. In ogni modo, però, per quel che riguarda la Salvia divinorum nemmeno nei Codici più antichi si trovano informazioni precise. Eccetto le evidenze attuali del suo impiego presso i Mazatechi, registrate materialmente soltanto a partire dagli ultimi sessant’anni, a tutt’oggi non abbiamo nessun’altra documentazione esplicita che possa illuminarci sul suo impiego, in una qualsiasi altra regione delle Americhe, né prima né dopo la Conquista [6]. Per di più, l’inondazione dei terreni avvenuta con la costruzione della diga Miguel Aleman proprio nella regione in cui la pianta è endemica, ha coperto con milioni di metri cubi d’acqua le possibili testimonianze archeologiche che avrebbero potuto darci indicazioni sull’utilizzo preispanico della Pastora.
Jean Bassett Johnson, antropologo e linguista nordamericano, fu il primo studioso occidentale a pubblicare notizie su quest’erba nel suo saggio “Gli Elementi della Magia Mazateca”, stampato in Svezia nel 1939. Si limitò a citarla chiamandola Hierba Maria (o yerba Maria). L’anno precedente, insieme alla futura sposa, Irmgard Weitlaner, anch’essa antropologa, si era unito ad una spedizione organizzata a Huautla de Jimenez dallo studioso inglese Bernard Bevan [7] e da Louise Lacaud. Furono loro, nella notte tra il 17 e il 18 luglio 1938, i primi güeros ad assistere di persona ad una cerimonia in cui venivano consumati i funghi sacri. Probabilmente quella fu anche l’occasione in cui lo sciamano Mazateco svelò, grazie ad un sotterfugio dei “bianchi”, un segreto conservato da secoli. Le prime informazioni su Salvia divinorum, dunque, arrivarono per caso, mentre si cercavano conferme sull’esistenza del teonanacatl azteco, la “carne di Dio”. Di lei nessun Occidentale aveva mai avuto notizia. Neppure Johnson poté mai assistere di persona a una cerimonia con le foglie della Pastora, probabilmente quest’erba egli non la vide mai [8]; nella sua pubblicazione egli ringrazia la moglie Irmgard e gli altri componenti della spedizione per avergli concesso di utilizzare informazioni da loro già precedentemente raccolte. La scarna nota di Johnson su Salvia divinorum riporta così:
“Dalle città mazateco-popoloca di S. Pedro Ixcatlan e San Jose Independencia arrivano le seguenti informazioni riguardanti la cura e la stregoneria.
“Per trovare un animale o un oggetto smarrito, si prendono dei funghi di notte. Si inizia a parlare (dopo essersi addormentati). Non è consentito avere un animale accanto perché potrebbe fare dei versi e disturbare il dormiente, che continua a parlare mentre un’altra persona lo ascolta. Il dormiente racconta dove si trovano le cose o gli animali perduti. Il giorno dopo, quando vanno per riprenderli, li ritroveranno proprio in quel luogo. Oltre ai funghi, alcune persone utilizzano un seme chiamato Seme della Vergine, altri usano l’Erba Maria” [poi, riportato in nota vi è ancora questo appunto] (Materiale raccolto da Irmgard Weitlaner-Johnson. Il suo informatore fu il Signor Mauricio Vista, nativo di S. Pedro Ixcatlan, ora impiegato come Segretario Municipale a S. Jose Independencia.)
Tutte le fonti informative sulla nostra pianta arrivarono per mezzo di testimonianze esclusivamente Mazateche, anche se nei primissimi rapporti Blas Pablo Reko e Robert J. Weitlaner, già suocero di Johnson, citano altre etnie che potrebbero ugualmente utilizzarla. Reko (nel 1945) cita un uso di foglie divinatorie tra i Cuicatechi nella provincia di Cuicatlán [9]. Weitlaner, (nel suo lavoro del 1952, “Curaciones Mazatecas”) riconduce a un dato di Jacques Soustelle, attorno una pianta chiamata yerba de la Virgen che veniva usata per la divinazione dal popolo Otomi di Tulancingo nello stato di Hidalgo e suppone che potrebbe essere la stessa erba xkà Pastora dei Mazatechi [10]. E’ una teoria suggestiva perché i due territori presi in considerazione da Weitlaner distano almeno 350 chilometri in linea d’aria e suscitano domande sull’effettivo areale di presenza della pianta. L’antropologa Irmgard Weitlaner-Johnson, sua figlia e vedova di Jean B. Johnson, specializzatasi nel campo delle tessiture indigene, rivestirà ancora un ruolo di primo piano nella storia di Ska Pastora, guidando, nel 1962, la famosa spedizione di Wasson e Hofmann presso la curandera Maria Sabina Garcia.
Alla fine, fu Robert Gordon Wasson il primo “güero” a sperimentare e descrivere gli effetti delle foglie ingerite della Xka Pastora. Accadde il 12 luglio 1961, nel villaggio mazateco di Ayautla. In quell’occasione gli vennero date da mangiare 34 paia di foglie ma Wasson non riuscì a sopportarne il gusto amaro, perciò il suo “rotolo” venne pestato su un metate e poterne così berne il succo diluito in acqua fredda. Egli paragonò questa esperienza agli effetti dei funghi magici e scrisse:
…è più rapido ma meno travolgente e duraturo. Non ho il minimo dubbio di aver sperimentato un effetto reale, ma non è andato oltre a quello iniziale dei funghi: [la visione di] colori danzanti in elaborate strutture tridimensionali. (Wasson, 1962)
L’anno seguente, durante la storica spedizione nella Sierra Mazateca con Albert Hofmann, ampiamente descritta dallo scienziato svizzero nel suo libro LSD. Il mio bambino difficile. Riflessioni su droghe sacre, misticismo e scienza i due studiosi riuscirono finalmente a raccogliere diversi campioni di quella Salvia fiorita per poterla classificare senza ombra di dubbio. I tassonomi Carl C. Epling e Carlos D. Jàtiva, riuscirono a stabilire che Xkà Pastora era una specie di Salvia totalmente nuova. La classificarono con il nome di Salvia divinorum Epling & Jàtiva-M. (1962), cioè la Salvia degli indovini, o dei profeti. Da quella spedizione non furono trasportati esemplari vitali di Salvia fuori dal suo habitat, soltanto campioni essiccati da inserire nell’erbario, più un certo quantitativo di succo per ricercarne in laboratorio il principio attivo. Le prime porzioni di Salvia divinorum adatte alla sua moltiplicazione ex situ migrarono dalla Sierra mazateca con Sterling Bunnell, psichiatra e importante figura del movimento ecologico statunitense. In compagnia di Michael McClure, noto poeta e scrittore della beat generation, approntò una spedizione piuttosto particolare verso lo stato di Oaxaca, più o meno nello stesso periodo della missione Wasson e Hofmann, sempre nel 1962. In quel periodo il professor Frank X. Barron, uno dei primi psicologi a studiare gli effetti delle sostanze psichedeliche, stava sviluppando una ricerca sulla “Psicologia della creatività” e il poeta McClure collaborava al progetto fornendo al Ricercatore vari filmati di scrittori sotto l’effetto della psilocibina. A un certo punto i laboratori Argyles di Toronto, produttori della componente chimica della ricerca, informarono il gruppo universitario che non avrebbero più potuto procurare la sostanza: l’Esercito degli Stati Uniti si era accaparrato tutta la produzione, anche per il futuro. Il gruppo decise allora di intraprendere una missione in Messico per recuperare esemplari e spore di funghi psilocibinici da cui avviare delle colture in maniera autonoma; Bunnell e McClure accettarono di svolgere quest’incarico interessante e avventuroso. Arrivarono nella Sierra Mazateca durante l’autunno, ancora in piena stagione delle piogge, e tra fango, frane e furiosi temporali riuscirono a raccogliere campioni e spore di cinque specie di funghi sacri. Incontrarono anche la curandera doña María Sabina, che predispose per loro una velada, e ottennero da un altro sciamano, don Isauro Nave, diversi campioni di piante vive di Salvia divinorum, che il curandero chiamava “le foglie della buona Pastora”. Nei giorni del loro ritorno in patria, Carl C. Epling e Carlos D. Jàtiva, a Los Angeles, stavano proprio analizzando e classificando gli essiccati raccolti da Hofmann e Wasson ma i risultati non erano ancora stati pubblicati, perciò le piante portate da Bunnell a Berkeley vennero temporaneamente registrate come “specie messicana sconosciuta”. Quando venne classificata ufficialmente la pianta, Sterling Bunnell portò a Los Angeles delle piante vive di Salvia divinorum per donarle ai tassonomi, in modo che questa nuova specie potesse crescere anche in quell’Università. Una volta attecchita lì, nei vivai universitari della California, la Pastora iniziò pian piano a intraprendere il suo viaggio attorno al mondo.
- Xkà Pastora
“Xkà” in mazateco significa foglia. La ricerca etnobotanica e antropologica non ha ancora fatto luce sul perché di questo nome mestizo per la pianta sacra: “xkà Pastora”, come è chiamata dagli shuta enima. Un po’ in mazateco e un po’ in spagnolo, il nome della foglia della Pastora può portarci a supporre che la Salvia divinorum sia un’introduzione botanica postcoloniale oppure che il suo nome originale mazateco si sia modificato nel tempo per via dell’influenza del Cristianesimo. Anche se nella tradizione cristiana non esistono collegamenti diretti tra la Vergine Maria e la pastorizia, sappiamo che i Mazatechi associano la pianta con Maria, la madre di Gesù: è lei che vedono incarnata nella pianta. Diversi curanderos affermano che sarebbe dovuta proprio alla particolare “timidezza di Maria” a causare l’interruzione del flusso delle visioni quando luci e rumori improvvisi turbano l’ambiente in cui si svolge la Velada. Quest’ultima, la Velada, (la veglia notturna) è la situazione rituale specifica in cui si consultano la Pastora e le altre piante di potere. È una cerimonia che avviene soltanto di notte e può avere finalità differenti, da quelle relative alla cura delle malattie allo scoprimento di ciò che è stato rubato, nascosto o è andato perduto, arrivando fino alla rivelazione di eventuali nemici personali. Di solito vi partecipano il sabio, cioè la “persona di conoscenza”, il paziente o consultante ed alcuni membri di entrambe le famiglie, di cui almeno uno resta “sobrio” e vigila affinché la sessione si svolga senza intoppi.
L’etnobotanica Kathleen Harrison descrive così il rapporto tra la pianta e il popolo mazateco:
“Pastora” è la pastorella, quella che custodisce e sorveglia il suo gregge. È un po’ diversa dalla Vergine Maria, sta un po’ più ai margini del mondo, un po’ più selvaggia. La pianta cresce in piccole radure, nei boschi dove è bagnata quasi sempre dalla rugiada e dove la luce filtra dalle foglie dei grandi alberi. Non la coltivano nei giardini attorno alle case. La coltivano lontano dai sentieri, in modo che gli estranei che passano non la possano vedere e non la raccolgano, in modo da tenerla al riparo dalle intenzioni malevole di qualche passante. Lei è molto timida, è molto potente ma nello stesso tempo è molto timida, ed è per questo che viene paragonata alla Cerva, quella che arriva silenziosa e attenta fino ai margini della valle, o ai bordi del tuo giardino e se fai un piccolo rumore, salta e scappa via. E i mazatechi sono “Quelli dei Cervi”. Loro dicono che alla pianta piace starsene fresca e bagnata, la dea che risiede in lei ama essere fresca e bagnata, quindi quando li ho informati che negli Stati Uniti, le persone fanno seccare le foglie e le fumano, erano inorriditi, perché a lei [alla Pastora] questo non piace ed erano doppiamente costernati dal fatto che la gente bruciava queste foglie per fumarle. Dicono che, prima di tutto, non funzionerà, che questa pratica la offenderà e che facilmente non si mostrerà, oppure che si incontrerà qualcosa che non è lei e che è “cattivo karma”, anche se non usano la parola “karma”. Questo è il tipo di cose che non fanno mai con la Pastora, la chiamano un’offesa a una divinità. Ti dicono che devi onorarla lasciandola crescere nel modo in cui le piace crescere, nutrendola e proteggendola e quando raccogli le sue foglie, prima chiedi il permesso e poi dici grazie. Posi le foglie sul tuo altare, prima di usarle e dopo un po’ di ore che le hai lasciate sull’altare le arrotoli in una specie di grande insalata a forma di “sigaro” e crei il buio, la completa oscurità, con qualcuno accanto che ti guarda… Ti siedi… La prima volta che me ne hanno dato un po’, e anche la seconda volta, si sono seduti molto vicino a me, su entrambi i lati, noi tre di fronte all’altare e con le nostre ginocchia quasi ci toccavamo. E allora ho pensato, “Abbiamo preso i funghi insieme, di solito non si siedono così vicini”, ma più tardi ho capito perché. E tu devi chiedere, come sempre in ogni cerimonia, devi specificare le tue intenzioni, chiedere alla Pastora di rimanere chi sei e chiederle di venire a rispondere alla domanda che le stai rivolgendo. (Harrison, 2008)
Filogonio García Martínez, pronipote di Maria Sabina, la sabia Mazateca più famosa e nota nel mondo, ci dice che la Pastora è una pianta fredda perché cresce in luoghi freddi e ombrosi, dove c’è umidità; anche le sue le foglie, come i funghi sacri, vengono differenziate in femmina e maschio e si contano a coppia per essere consumate. A causa delle sue peculiarità di freddezza, la Pastora viene utilizzata più frequentemente nelle stagioni calde – marzo, aprile e maggio – che è il periodo più asciutto, quando i “piccini che germinano” non sono ancora spuntati. «Pastora è molto amara- dice – ed è molto difficile che tu riesca a vedere la prima volta che la prendi. Durante quella prima volta la pianta ti esplora per conoscerti meglio; lei indaga su quanta “fiducia” ha in lei la persona o il paziente, prima di venire a correggere il suo male. L’effetto può durare 50 minuti o un’ora, ma l’inizio è improvviso. La Pastora è forte, è forte come la presa per la mano con cui la mamma ti tira accanto a sé, quando rischi di andare a farti male, e la mamma è la Vergine Maria» poi spiega che le visioni «sono come dei fulmini» e proprio per questo «devi essere un po’ custodito per poterle vedere; tutto ciò è molto delicato perché se le manchi di rispetto puoi rimanerne sconvolto.»
Questo è un aspetto di quel Vivente intriso di pericoli e rischi, tipico della visione del mondo mazateca. Esaminata nei suoi utilizzi sciamanici, la Pastora è la prima pianta di potere che l’apprendista utilizza durante il percorso che lo porterà a diventare chjota chjine (= la persona “chjota” che ha la conoscenza “chjine”, colui che cura e che sa). Le donne e gli uomini possono indifferentemente intraprendere questo percorso, non ci sono discriminazioni di genere per diventare una “persona di conoscenza”. Nella triade delle piante sacre che fanno vedere il “mondo delle anime sante”, la Pastora è quella ritenuta meno “pericolosa”; dopo di lei l’apprendista imparerà a conoscere il potere de “las Semillas de la Virgen” cioè dei piccoli semi psicoattivi delle Convolvulacee (Turbina corymbosa e Ipomoea violacea) , i quali condividono con la Pastora diversi caratteri, ad iniziare dalla reciproca attribuzione ad un principio femminile, simboleggiato dalla Vergine Maria, la Grande Madre dei cattolici; alla fine si arriverà a conoscere quello più caldo e forte dei “piccini che germogliano” nti xi tjo, i funghi sacri [11]. Bisogna ora chiarire, però, che il concetto di “peligroso”, che il Popolo dei Cervi definisce con la parola “xcon”, non equivale totalmente al significato che noi diamo al “pericolo”; per loro, come per la grande maggioranza delle etnie native del Nuovo Mondo, questo concetto è soprattutto un attributo caratterizzante il Sacro e il Potente. Una parola che può essere utilizzata in riferimento alla “qualità” di un vento forte o di un nubifragio, ma altrettanto attinente all’attenzione da tenere quando ci si avvicina a una Divinità o alla Croce, proprio in considerazione del loro contenuto di Sacralità. È dunque un attributo che presume immediatamente una certa dose di “precauzione” e di cura da mantenere nell’approccio con la “cosa” che appartiene al mondo delle anime sante. Il riferimento semantico più consono è dunque con la qualità di ciò che è considerato “potente”, rammentando che questo potere potrebbe essere benefico o nocivo, proprio come nel caso di un medicamento.
Vi sono delle regole fondamentali da seguire per evitare questi “pericoli”: l’atto di sottoporsi ad una pulizia interiore è la disposizione adeguata che consente di accostare ciò che è sacro; una procedura propedeutica che si condivideva anche con i riti cattolici del digiuno eucaristico. La condizione di pulizia, dunque, si ottiene per mezzo della dieta, un impegno che deve compiere la persona, e che consiste nell’assunzione di un raccoglimento alimentare, sessuale e relazionale da iniziare già alcuni giorni prima della Velada e da mantenere ancora per qualche tempo dopo (Valdez, Diaz, Paul, 1983) [12].
«Niente uova né carne. Un po’ di fagioli ma senza olio. Pane che non contenga zucchero, nemmeno caffè. Quattro giorni così, anche sette, se sono sette è meglio. […] Non si deve parlare con nessuno, non vedere nessuno che sia estraneo alla famiglia con cui si vive nella medesima casa, bisogna mangiare appartati, senza farsi vedere, non lavarsi, non cambiarsi i vestiti, non aver relazioni sessuali, non ricevere visite.» (Ocampo Villaseñor, 1971)
Anche oggi i curanderos mazatechi del nuovo millennio, come la signora Adela Ortega, che vive a Cerro Fortín, ribadiscono che la Pastora va masticata oppure bevuta come un infuso freddo, e che le foglie impiegate sono sempre contate in coppie. «Quando ho iniziato ne presi 60. Le visioni ti arrivano come dei fulmini e il viaggio dura circa 2 ore, ma prima di farlo devi essere leggero, devi aver preso soltanto liquidi, devi mantenere la dieta per 4 giorni, prima e dopo il rituale.» Lei dice che dopo averla presa si prova una sensazione di freddo nel corpo, con brividi, e sovente ti può venir voglia di piangere e di raccontare. Il suo defunto marito, Marcelino Alvarado, ha lavorato 50 anni con la medicina, in particolare con i funghi, mentre lei la pratica da 40 anni. Continua a dare Xkà Pastora solo a quelli che partecipano alle cerimonie, alcuni sono venuti a comprarla per farla seccare e questo non le piace; tuttavia, l’ha data a una dottoressa della città di Guanajuato che voleva utilizzarla per produrre farmaci contro le convulsioni epilettiche. Dalia, figlia della signora Adela e di Marcellino Alvarado, racconta che le persone che partecipano a una Velada vorrebbero vedere fin dalla prima volta ma rammenta una particolarità della pianta: “la prima volta che la prendi, la Pastora ti fiuta da lontano, ti analizza, vuole conoscerti prima di mostrarsi”. E ribadisce che nel corso di ogni cerimonia si fa ancora una limpia con delle foglie sacre, basilico, ruta o incenso; poi viene passato un uovo che assorbe e scambia l’energia della persona; soltanto dopo questa purificazione la Pastora può essere consumata. “Sono queste le fasi che ti portano in direzione della luce.” Dalia è erede della conoscenza ancestrale dei suoi genitori, ma è anche un’ostetrica diplomata che prescrive terapie alle neomamme, oltre a guarire con le piante sacre.
«Per me è una cosa molto bella! Lo faccio per la mia gente. È un dono che porto dalla nascita, perché il grande spirito me lo ha offerto. Mi ha insegnato mio padre un po’ alla volta, fin da quando avevo quattro anni. Però ho avuto contatti con i “bimbi sacri” da quando ero in fasce; in che modo? Beh, tramite il latte materno. La mia prima vera cerimonia è stata all’età di otto anni.» (Cortina, 2021)
Verso il 1982 nel mondo occidentale accaddero nuovi fatti riguardanti la Salvia divinorum: in Messico, un gruppo di lavoro, guidato dal dottor Ortega, riuscì finalmente a isolarne il principio attivo, che venne chiamato Salvinorina-A e risultò essere un composto diterpenoide neoclerodano; era il primo composto di questo tipo in grado di svolgere un’azione psichedelica; tutte le altre molecole visionarie sono degli alcaloidi.
Sempre da questo decennio, la nuova ondata di interessamento dei giovani per le sostanze enteogene ed empatogene orientò una certa attenzione anche verso la Salvia divinorum, certamente per il suo alone di “mistero” ma anche perché detenerla e utilizzarla non comportava l’avere dei guai con la legge.
Nel 1993 Daniel Siebert, giovane etnobotanico e psiconauta californiano, sperimentò per primo i potentissimi effetti dei pochi milligrammi di Salvinorina-A che era riuscito a ottenere impiegando una metodologia “casalinga” per potenziare l’effetto delle semplici foglie. Assorbì, per vaporizzazione, circa due milligrammi del composto cristallizzato (un dosaggio che con il senno di poi si sarebbe rivelato sproporzionato) e ne rimase estremamente sconcertato. Il principio attivo di Salvia divinorum si evidenziava, per la sua efficacia, come il composto psicoattivo naturale più potente finora conosciuto. La descrizione di quest’esperienza, pubblicata sul suo sito web dedicato completamente a Salvia divinorum, influenzò sensibilmente l’impaziente e pragmatico milieu dei giovani psiconauti occidentali, tanto che quella metodologia chimica, mirata a ottenere concentrazioni di principio attivo sempre più attive per raggiungere potenti effetti psichedelici, finì per prevalere popolarmente sulle tecniche di assunzione tradizionali.
Attorno a questo aspetto, le narrazioni soggettive sono diverse, perché c’è chi considera questo tipo di esperienza come un’opportunità maggiore per acquisire conoscenza dei vari piani della realtà senza dover superare quella “ritrosia a mostrarsi” tipica della Pastora quando viene consultata secondo le metodologie della tradizione mazateca, mentre non pochi altri vedono questo tipo d’approccio come foriero di un’esperienza potenzialmente pericolosa, aumentando la probabilità della perdita di controllo corporeo e razionale e il possibile rischio di incidenti fisici e della comparsa di stati di panico. Benché sia dimostrato che Salvia divinorum non provoca effetti negativi a livello fisiologico e neuronale, la fulminante ed estraniante potenza dei concentrati fumati o vaporizzati lascia a ben pochi psiconauti la possibilità di capire e poi di integrare l’esperienza ottenuta tramite questa metodologia.
La globale diffusione e pubblicizzazione a livello imprenditoriale di questi composti potenziati da vaporizzare, allo scoccare del nuovo millennio, dette origine a una nuova concezione della pianta nel mercato mondiale degli psichedelici, che iniziò a essere venduta e consumata come “droga ricreativa”, un fatto che portò al suo divieto in diversi paesi del mondo e fu altresì origine di problemi ambientali e sociali sui monti della Sierra Mazateca, da dove allora veniva esportata.
Alla fine, proprio a causa di questo suo inquietante potere psichedelico, veramente pochi fruitori hanno mantenuto un interesse a consumarla ulteriormente, dopo averne sperimentato l’inquietante, o meglio, frastornante potenza tramite queste forme di utilizzo non tradizionale. Ad un certo punto anche nelle narrazioni new age la Salvia degli indovini iniziò ad essere indicata come una “pianta oscura” o con “cattiva energia”, altro fattore limitante della sua diffusione sotto forma di alti concentrati da vaporizzare. Nonostante gli articoli sensazionalistici pubblicati dai giornali e le istanze parlamentari sollevate dai proibizionisti per arginare immediatamente un possibile nuovo flagello della gioventù abbiano portato alla sua messa al bando in non poche Nazioni, Salvia divinorum non ha mai rappresentato un problema per la salute pubblica.
Ugualmente, sebbene l’uso del principio attivo vaporizzato sia molto diverso dal tradizionale impiego mazateco, recenti testimonianze mazateche raccolte da Alì Cortina e pubblicate lo scorso marzo 2021, suggeriscono che non è nemmeno completamente opposto, perché la Salvia divinorum è stata usata anche mescolata alle foglie di San Pedro (Nicotiana rustica L.) “Picietl” fumate da alcuni chjota chjine, come menzionato nella testimonianza di Javier Hernández (70 anni), che così illustra il rapporto tra pianta, cultura e vita quotidiana dell’ Alta Sierra Mazateca:
«La Salvia fin dai tempi antichi è nota per essere originaria della catena montuosa mazateca, … prima in quasi tutte le case c’era, la Salvia, ma ora questa tradizione si va spegnendo per la trascuratezza dei nostri figli, eppure prima la si usava per una sessione, bisognava macinarla, con molto rispetto, usando il metate e bevendola in una jícara … e questo si faceva per una velada o per una guarigione, ma capitava anche solo per rilassarsi, la gente ne masticava 3-4 foglioline fresche e le persone si sentivano già bene, lo hanno fatto ogni volta che ne sentivano bisogno, ecco perché avevano tutti la loro pianta, … anche i vecchi, dovevano fare i loro sigari. Avevamo guaritori che possedevano una religione molto forte, si può dire così, e loro erano soliti fumarla, ma non tutti la fumavano, solo quei guaritori che avevano percorso molta strada nella medicina naturale e che dovevano anche affrontare qualsiasi energia incontrassero, da quei tempi antichi il suo uso è stato così.
Com’erano questi sigari?
Si facevano con le foglie del tabacco puro e selvatico, dovevano mettere un po’ di Salvia con il San Pedro, ma li preparavano per dei lavori veramente molto forti che dovevano fare, però poi è una medicina che ti dà dei risultati che non ti immagini nemmeno, sì, questo succedeva quando c’era bisogno di fare un lavoro molto forte.» (Cortina, 2021) [13]
In qualche modo messi in ombra dall’importanza e dalla fama dei piccini che spuntano o di altre piante sacre, sembra che eventuali altri modi d’uso della Salvia divinorum, principalmente sciamanici – come quando la si usa fumandola – siano finora sfuggiti alle osservazioni antropologiche, di modo che continuiamo a imparare ancora oggi qualche cosa di più sulle tecniche tradizionali, sulle varianti molto ampie della pratica di ogni chjota chjine. Recenti osservazioni fatte durante cerimonie e lavori etnografici nell’alta e bassa Sierra Mazateca, evidenziano alcuni dati non menzionati prima tra gli usi sciamanici della pianta. Per esempio, di una sua combinazione con i funghi sacri o con i semi della Vergine, per raggiungere stati di coscienza ben specifici a seconda del lavoro da fare [14], oppure il suo impiego, prima tramite infusione fredda e poi fumata, sia dal paziente che dal guaritore, con quest’ultimo che, all’apice della cerimonia, succhia via con la bocca il male del paziente e poi lo materializza in oggetti come unghie o pietre particolari [15].
Le recenti ricerche di Ana Elda Maqueda (2018) hanno catalogato una vasta gamma di applicazioni terapeutiche, che spaziano dal trattamento per artrite e infiammazione, al mal di testa, ai problemi gastrointestinali, punture di insetti, eczema e funghi, malattie vaginali, cistiti, crampi mestruali, bronchiti, febbre, contratture alla schiena, ritenzione di liquidi, disturbi interni, nonché come tonico generale per i malati, gli anemici o i morenti, fino a trattare l’alcolismo e altre dipendenze. Come i Mazatechi affermano, Xkà Pastora è stata consumata per secoli senza problemi, né intossicazioni o comportamenti di dipendenza. Al contrario, è sempre stata considerata una Terapeuta e un’Insegnante. Adesso, la diffusione e l’applicazione pratica di alcuni impieghi tradizionali riversate nei nuovi contesti globalizzati, hanno fatto apparire, soprattutto nel mercato messicano, prodotti che si caratterizzano principalmente per la loro natura terapeutica piuttosto che sul piano psichedelico, come estratti liquidi, oli per uso topico , prodotti orali e diversi tipi di tabacco da fiuto, da quello tipico a quelli che sono costituiti principalmente con salvinorina-A pura (che è stata utilizzata per trattare con successo l’assunzione della cocaina) [16]. Le esperienze di queste modalità di utilizzo sono estremamente varie. Tuttavia, in molti casi, viene riportato un aumento della percezione della connessione con la natura e con sé stessi, una maggiore attività oneirogena, remissione di ansia e depressione e un’azione contrastante i comportamenti di dipendenza. La sua storia e le sue applicazioni tradizionali o anche quelle più recenti continuano ad essere investigate in diversi ambiti teorici e pratici, perché attorno a Salvia divinorum si raccoglie una gamma di possibilità terapeutiche uniche, oltre alla possibilità di comprendere maggiormente i vari piani della coscienza, il rapporto della specie umana con l’universo e, non ultimo per importanza, resta il fatto che la Pastora rimane tuttora un elemento chiave nell’identità e nell’economia regionale dei contadini mazatechi, quel Popolo dei Cervi che alle sue potenzialità ha fatto ricorso per secoli.
Le ultime ricerche, come quelle tuttora in corso sulla Salvinorina-B, metabolita non attivo della Salvinorina-A, o sulle sue relazioni con i recettori K-oppiacei e il cervello umano, nonché l’identificazione di possibili varietà della specie botanica, come quella che, ultimissima e ancora in attesa di conferma, sembra sia utilizzata dai Maya Tzeltales nel Los Altos de Chiapas, potranno farci acquisire nuove conoscenze e verosimilmente ci porteranno ancora altre domande e forse nuove applicazioni pratiche (Cortina, 2021).
E proprio in quest’ottica, come augurio, riporto il riassunto di una recentissima ricerca sulle relazioni antagoniste tra alcuni terpenoidi, tra cui la Salvinorina-A, principio attivo delle foglie della buona Pastora e la proteasi del Covid 19, pubblicata lo scorso gennaio 2021 dal dott. Neda Shaghaghi del Dipartimento di Biologia cellulare e molecolare dell’università di Maraghen, Iran.
I seguenti terpenoidi sono stati identificati per avere attività inibitorie contro la nuova proteasi COVID-19. Di questi composti, il Ginkgolide A [è quello che] ha un legame più forte e una più alta affinità con la proteasi. La quantità di energia di collegamento da alta a meno alta, in ordine discendente [si è registrata con] Ginkgolide A – Dithymoquinone – Noscapina – Salvinorina A – Forskolin – Bilobalide – Citrale – Beta Selinene – Mentolo. [17] […]
Conclusione: […] possiamo concludere che questi composti possono essere considerati farmaci efficaci antiproteasi COVID-19. Inoltre, a causa della formazione di coaguli di sangue nell’infezione da coronavirus, alcuni di questi composti, oltre all’attività antivirale, hanno un effetto sull’inibizione della coagulazione. (Shaghaghi, 2021)
Note:
[1] Il genere dei cervi tipici di questa regione del mesoamerica si chiama Mazama, nome che deriva dal nahuatl mazame, plurale di mazatl, «cervo».[2] Dati del 2010.[3] In spagnolo, Cañada è lo spazio tra due montagne o alture poco distanti tra loro (canyon).[4] https://www.inali.gob.mx/clin-inali/html/v_mazateco.html[5] La pianta dell’ololiuqui è chiamata la “semilla de la Virgen” (in mazateco naxole natjaona, i fiori della nostra cara Madre) ed è la convolvulacea Rivea corymbosa (L.) Roth; tlitliltzin è l’Ipomea tricolor Cav.[6] Rimane tuttora un’ipotesi la sua identificazione con l’altrettanto misteriosa pianta che gli Aztechi chiamavano pipiltzintzintli.[7] Bernard Bevan, [secondo Richard Schultes si trattava di un agente segreto] fu uno storico dell’architettura, trascorse diversi anni nello stato di Oaxaca studiando le usanze e i costumi degli indiani Chinantechi, Mazatechi, Zapotechi, Mixe e Mixtechi. Qui scoprì che era ancora in uso un calendario precolombiano di tredici mesi per gli scopi agricoli. Bevan non limitò le sue ricerche antropologiche a Oaxaca, ma viaggiò in altre parti del Messico e dell’America Centrale, quasi sempre a piedi; e accompagnò Jacques Soustelle in visita agli Otomì. Durante una spedizione nel 1938, raccolse orchidee che inviò al Museo Botanico di Harvard. Una di queste orchidee si rivelò essere una specie finora sconosciuta, che il museo pubblicò nel 1939, chiamandola, in onore del suo scopritore, Epidendrum Bevanii. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, Bevan entrò nel Foreign Office e fu impiegato come addetto stampa in Messico e successivamente in Italia. (Archivo Español de Arte, AEA n.278, 1997).[8] Jean Bassett Johnson, tornato negli USA per pubblicare i risultati delle sue ricerche, fu richiamato alle armi e arruolato nella U.S.Navy; cadde in azione durante lo sbarco dei contingenti statunitensi in nord-Africa nel 1942.[9] “Non possiamo non menzionare qui un’altra pianta magica le cui foglie producono visioni e che i Cuicatechi e i Mazatechi (nei distretti di Cuicatlan e Teotitlan) chiamano “foglia di divinazione“. Le foglie raccolte dalla pianta che ho ricevuto non permettono la loro identificazione scientifica”. Blas Pablo Reko (1945)” Mitobotánica zapoteca”,Tacubaya, D. F., General León 9, p. 17.[10] “Potrebbe essere interessante richiamare l’attenzione sul fatto che una pianta chiamata Yerba de la Virgen è usata in forma quasi identica nel villaggio Otomi di Sta. Ana Hueytalpam, nella regione di Tulancingo, Hidalgo, come riferito al Dr. J. Soustelle” Weitlaner, R. J. (1952). Curaciones mazatecas. Anales Del Instituto Nacional De Antropología E Historia, 6(4), p. 284.[11] “Si impara a diventare sciamani compiendo un apprendistato informale, seppure i Mazatechi insistano nell’affermare l’insegnamento arrivi da una progressione di visioni “da” e “del” Paradiso, anziché dai maestri, dalle altre persone che sanno. Le piante psicotrope sono strettamente associate a quest’addestramento, che può durare due anni o anche più. […] gli induttori di visioni sono presi sistematicamente ad intervalli di una settimana o di un mese. Quando si diventa guaritori le piante allucinogene sono ingerite molto meno frequentemente. La formazione incomincia prendendo dosi via via crescenti di Salvia divinorum per un certo numero di volte, tanto da diventare familiari con” la via per il paradiso”. Poi si passa alla presa di padronanza con i semi di morning glory (Rivea corymbosa (L.), Hallier, F.) e infine si imparano ad usare i funghi sacri.”. […] “Ska Maria Pastora è, farmacologicamente, la più debole delle tre piante allucinogene. Dopo la sua ingestione si suppone che la Vergine Maria parli alla persona, ma solo in assoluta quiete ed oscurità. L’esperienza, relativamente morbida, è prontamente posta al termine dal baccano (come l’alto tono di voce) o dalla luce. Don Alejandro dice che gli effetti di tu-nu-sho, la “semenza fiorita (Rivea corymbosa ) (L.), Hallier, F.), sono affini a quelli della Maria (Salvia divinorum) perché le due piante sono sorelle (son hermanos) e sotto la protezione della Vergine María e San Pedro…” _Etnofarmacologia di Ska Maria Pastora (Salvia divinorum – Epling & Jatìva-M) -Leander J.Valdez III, Jose Luis Diaz, Ara G. Paul; Journal of Entheopharmacology, 7 (1983) 287-312.[12] “Don Alejandro annunciò che dovevano attenersi alla dieta rituale per 16 giorni, benché potessero ugualmente prendere bagni e bere la birra (dopo la prima volta, la dieta per S. divinorum è solo di quattro giorni) Etnofarmacologia di Ska Maria Pastora (Salvia divinorum – Epling & Jatìva-M)-Leander J.Valdez III, Jose Luis Diaz, Ara G. Paul; Journal of Entheopharmacology, 7 (1983).”[13] Javier Hernández ,70 anni, (Comunicazione personale ad Alì Cortina, luglio 2020, Huautla de Jiménez, Oaxaca).[14] Javier Hernández, 70 anni. (Comunicazione personale ad Alì Cortina, marzo 2020, Huautla de Jiménez, Oaxaca).[15] Esteban Ramirez, 75 anni. (Comunicazione personale ad Alì Cortina, novembre 2019, Loma San Juan, Oaxaca).[16] Mr. White Rabbit, Chimico Clinico, (Comunicazione Personale ad Alì Cortina, Città del Messico, agosto 2019).[17] Ginkgolide A è considerato un efficace antagonista del PAF (fattore delle piastrine), essenziale per la coagulazione del sangue e nei processi infiammatori; viene isolato dalle foglie del Ginkgo biloba L.Thymoquinone è un composto fitochimico presente nella Nigella sativa. L. È anche contenuto in coltivazioni selezionate di Monarda fistulosa L.
La noscapina è un alcaloide contenuto nel lattice del Papaver somniferum L. è usata in medicina come antitussivo. Per la prima volta negli anni ’90 è stata dimostrata una promettente attività antitumorale della noscapina.
Forskolin (coleonol) è una sostanza presente all’interno della pianta Coleus forskohlii Anon., altrimenti nota come Plectranthus pseudobarbatus J.K.Morton.
Bilobalide è il principale tra i terpenoidi presenti nelle foglie di Ginkgo. In misura minore è anche presente nelle radici.
Citrale è il componente principale dell’olio essenziale di Lemongrass (Cymbopogon citratus (DC.) Stapf. e C. flexuosus Stapf.).
Selinene è un composto organico (un sesquiterpene biciclico), contenuto nell’olio essenziale di sedano.
Il mentolo è il principio attivo contenuto nell’olio essenziale di menta (35-55%); si tratta di un monoterpene ciclico che a temperatura ambiente si presenta in bianchi cristalli prismatici esagonali. Fortemente aromatico ed amaro, il mentolo è particolarmente noto per le sue proprietà antisettiche, spasmolitiche ed anestetiche locali.
Bibliografia:
G. Aguirre Beltrán, Medicina y magia; el proceso de aculturación en el estructura colonial. Instituto Nacional Indigenista, Mexico, 1963.
J. Bassett Johnson, The Elements of Mazatec Witchcraft, Gothenburg, Sweden, 1939.
A. Cortina, Salvia divinorum: Investigaciones actuales en teoría y práctica. [online], in https://chacruna-la.org/, 2021.
B. Caiuby Labate, C. Clancy (a cura di) Plant Medicines, Healing and Psychedelic Science: Cultural Perspectives, Springer, 2018.
W. Davis, El río: exploraciones y descubrimientos en la selva amazónica, Ministerio de Cultura, Biblioteca Nacional de Colombia, Bogotá, 2017.
J. L. Díaz, Salvia divinorum: enigma psicofarmacológico y resquicio mente-cuerpo, Salud Mental website, 2014.
C. Epling, C. D. Játiva-M. A new species of Salvia from Mexico. Botanical Museum Leaflets, Harvard University, 1962.
O. García Cerqueda, Huautla: Tierra de magia, de hongos… y hippies, 1960-1975, Benemérita Universidad Autónoma de Puebla, 2014.
K. Harrison, Speech sulla Salvia divinorum, https://youtu.be/brEvQskNgjE, World Psychedelic Forum, Basel, 2008.
C. Inchástegui, Cambio cultural en Huautla de Jiménez. México, Escuela Nacional de Antropología e Historia, México D.F., 1967.
C. Inchástegui, Relatos del mundo mágico mazateco. Centro Regional de Puebla-Tlaxcala, Instituto Nacional de Antropología e Historia/Secretaría de Educación Pública, México, D.F., 1977.
C. Inchástegui. Figuras en la niebla: relatos y creencias de los mazatecos, Premia, La Red de Jonás, Cultura Popular, México, D.F, 1984.
C. Inchástegui, Entorno enemigo: Los mazatecos y sus sobrenaturales. Desacatos n.5 [online], 2000.
A. E. Maqueda, The Use of Salvia divinorum from a Mazatec Perspective, in Caiuby Labate & Clancy, op. cit.
J. Mooney, “Mixe Indians”, The Catholic Encyclopedia. Vol. 10, Robert Appleton Company, New York, 1911.
D. Ocampo Villaseñor, Ceremonia de los hongos en Huautla de Jiménez, Oaxaca, 1971.
B. P. Reko, Mitobotánica zapoteca, Tacubaya, D. F., General León 9, 1945.
C. Rodríguez Venegas, Mazatecos, niños santos y güeros en Huautla de Jiménez, Oaxaca, Universidad Nacional Autónoma de México, Coordinación General de Estudios de Posgrado, 2017.
N. Shaghaghi, Molecular Docking Study of Novel COVID-19 Protease with Low-Risk Terpenoids Compounds of Plants: University of Maragheh, Maraghen, Iran, 2021.
D. J. Siebert. Salvia divinorum and salvinorin A: New pharmacologic findings. J. Ethnopharmacol. 1994.
D. J. Siebert, The History of the First Salvia divinorum Plants Cultivated Outside of Mexico, The Entheogen Review. Vol. 12 No. 4, Sacramento, CA, USA Winter 2003.
G. I. Suffìa, Salvia divinorum: una pianta sacra poco nota, Altrove, vol. 8, Nautilus, Torino, 2001.
L. J. Valdés 3rd, J. L., Díaz, A. G. Paul, Ethnopharmacology of ska María Pastora (Salvia divinorum, Epling and Játiva-M.). Journal of Ethnopharmacology, 1983.
R. G. Wasson, A New Mexican psychotropic drug from the mint family. Botanical Museum Leaflets Harvard University 1962.
R. J. Weitlaner, Curaciones mazatecas. Anales Del Instituto Nacional De Antropología E Historia, 6(4), Mexico, 1952.
Giovanni Illario Suffìa, giardiniere anarchico, come già diversi altri suoi conterranei della Riviera di Ponente estrema e “di confine”, fin dall’adolescente anno 1973 perlustra i sentieri della controcultura e dei movimenti antagonisti con passo umbratile oltre che ironico e con l’ostinazione tipica dei liguri. Tra quelli che nel 77 avevano 20 anni, è riuscito ad attraversare i dolorosi anni 80 con appena qualche lieve graffiatura, scrivendo e pubblicando un po’ di versi, sfalciando boschi di ulivi e di mimose, occupando terreni incolti ma soprattutto sognando molto. Poi, negli ultimi 35 anni, ha lavorato in Università come nursery-man di uno tra i bei Giardini botanici d’Europa, prendendosi cura delle giovani piante e semenze che arrivavano dal mondo.
Parole chiave: Salvia divinorum, Xka’ pastora, etnobotanica, mazatechi

















