Anti-cosmosi: il Mahapralaya nero

di Nicola Masciandaro

 

Arizmenda, Within the Vacuum of Infinity . . . (Dismal Cursings, 2009). Cfr. Begotten, dir. E. Elias Merhige (1991), minuto 38.

 

In un dialogo citazionistico tra mistica medievale, letteratura e musica, il black metal diventa un modo per fare teoria, anche in rapporto col corpo, dell’esperienza estatica, in una dimensione di rottura con l’ordine e dunque “anti-cosmica” e caotica. “La felice catena satanica, di cui il black metal è già il rantolo dissonante, distrugge il cosmo attraverso la sua stessa catena dell’essere, realizzando il presente temporale della parola come capriccio originario dall’oltre. Presentiamo qui la traduzione, a cura di Lorenzo Curti, di questo testo, pubblicato nel 2010 in Hideous Gnosis – Black Metal Theory Symposium.

Scarica il pdf: Anti_Cosmosi Il Mahapralaya Nero

 

«Dio, o il bene, o il luogo, non ha luogo, ma è l’aver-luogo degli enti, la loro intima esteriorità.» (Agamben, 1990: 11)

«Non voglio essere dove sono, né da nessun’altra parte se è per questo.»  (Malefic degli Xashtur) [1]

«Le domande “Perché?” e “Dove?” presuppongono l’inizio e la fine di questa creazione in evoluzione. L’inizio dell’evoluzione è l’inizio del tempo e l’inizio dell’evoluzione è la fine del tempo. L’evoluzione ha sia un inizio sia una fine perché il tempo ha sia un inizio sia una fine. Fra l’inizio e la fine di questo mondo in trasformazione ci sono molti cicli, ma c’è, dentro e attraverso questi cicli, una continuità dell’evoluzione cosmica. La vera fine del processo evolutivo è chiamato Mahapralaya o l’annichilimento finale del mondo, quando il mondo diviene ciò che era all’inizio, ossia niente… proprio come il mondo vario dell’esperienza scompare completamente per l’uomo che è in un sonno profondo, il cosmo oggettivo interno che è la creazione di Maya svanisce nel niente alla fine del Mahapralaya. È come se l’universo non fosse affatto esistito. Anche durante il periodo dell’evoluzione l’universo è in se stesso nient’altro che immaginazione. Infatti, vi è solo un’indivisibile ed eterna Realtà e non ha né inizio né fine. È oltre il tempo. Da questo punto di vista di questa realtà atemporale l’intero processo temporale è puramente immaginario e i miliardi di anni che sono passati e i miliardi di anni che dovranno passare non hanno neanche il valore di un secondo. È come se non fossero mai affatto esistiti.» (Meher Baba, Discourses, I.45-46.) [2]

«There is gangrene in the tubes / Of the vermicular ethics of how / Your world view presents itself / Contradictions in terms of how / Your life evolves in the chain of being / I claim you were never a part of reality» (Mayhem, Chimera, Chimera, Season of Mist, 2004) [3]

«Una volta, in una luminosa domenica, egli era seduto raccolto e pensoso, e nel silenzio del suo spirito gli si fece incontro una figura spirituale, che era sottile nelle parole, ma non esercitata nelle opere, e prorompeva in una sfarzosa esuberanza. Egli prese la parola e gli disse “Donde sei tu?”. Quello rispose: “Non venni mai da alcun luogo”. Egli: “Dimmi, che sei tu?”. Quello: “Io non sono”. Egli: “Che cosa vuoi?”. Quello: “Non voglio nulla”. Egli disse ancora: “Questo è un portento, dimmi: come ti chiami?”. Quello rispose: “Mi chiamo il selvaggio senza nome”.» (Enrico Suso, 1997: 59)

«Continuo a suonare la chitarra finché non ho trovato un riff che mi faccia rabbrividire di paura o urlare di dolore o tremare di rabbia e continuerò a suonare quel riff ancora molte volte… Non sono mai soddisfatto e mai lo sarò con le restrizioni imposte su di me. Distruggerò il cosmo e ritornerò alla libertà.» (Donn di Teutoburg Forest) [4]

«Contesto in nome della contestazione che è l’esperienza stessa (la volontà di andare ai limiti del possibile). L’esperienza, l’autorità, il suo metodo non si distinguono dalla contestazione stessa.» (Bataille, 1994: 41)

«Siamo il Circolo del Crespuscolo Nero. Spargendo Kaos e Dissonanza attraverso rituali cerimoniali sacri. Abbiamo trasceso questa mente e questo corpo. Esistiamo all’interno di quest’oscurità e lottiamo dentro al suo vuoto infinito di disarmonia. Anche voi proclamerete la sua presenza ultima.» (Volahn, pamphlet di Crepúsculo Negro, 128 di 400)

 

Una catena è una forma medievale di commentario esegetico composto integralmente da una catena di citazioni da altre opere. Rappresentando il significato testuale come una profusione che si estende tra le voci di molteplici autori, questa forma testuale, esemplificata dalla Catena Aurea sui quattro vangeli di Tommaso d’Aquino, diviene l’analogo generale dello spettacolo cosmico che è stato dominante durante i mille anni o circa in cui le catenae sono state scritte, ossia la visione dell’universo come costituente una grande catena dell’essere, una processione ordinata di entità legate formalmente tra di loro attraverso l’unità delle loro comuni origine e fine. Come spiega Macrobio, con una sintassi appropriatamente consequenziale, nel suo Commentario sul Sogno di Scipione

poiché, in base a questa ipotesi, l’Intelletto procede dal Dio supremo e l’Anima dall’Intelletto e poiché, inoltre, l’Anima organizza e riempie di vita l’insieme degli esseri che vengono dopo di essa e poiché quest’unico splendore le illumina tutte e si riflette in questo insieme, come un’unica figura sembra moltiplicarsi in una serie di specchi posti uno dietro l’altro per ripeterne l’immagine, e poiché tutto si sussegue in una sequenza non interrotta di esseri, che vanno degradandosi sempre di più [degenerantia per ordinem] discendendo verso il basso, si scoprirà, osservando più attentamente, che, a partire dal Dio supremo fino alla più infima feccia dell’universo [a summo deo usque ad ultimam rerum faecem], tutto si tiene, si unisce e si abbraccia con legami [conexio] vicendevoli ed indissolubili. È la catena aurea di Omero che il dio ha ordinato di far pendere dal cielo alla terra, come narra il poeta. (Macrobio, 2007, I, 14.15: 353 e 355)

Il principio della catena è un integralismo ontologico. Nella catena viene infilato il fatto dell’universo stesso, esprimendo l’inseparabilità del cos’è (what) e del che-è (that) [5]. La catena cosmica è il necessario punto d’identità, che perfora ogni entità, fra essenza ed esistenza, la cosa invisibile che fa in modo che tutto sia vicino a qualcos’altro e parte del tutto stesso. 

Mahapralaya, Hän joka on nielevä ajan (Demo, 2007)

Ed è perciò in un senso pieno e totale la catena dell’essere, il fatto che l’essere è una catena o un legame: al contempo la necessità universale dell’attualità del tutto (il fatto che ci sia un qualcosa come tutto) e la necessità individuale dell’attualità dell’individuazione (il fatto che ogni cosa è inesorabilmente incatenata a se stessa) [6]. La catena include dall’interno l’unità impossibile della prospettiva sull’essere che il cosmo presuppone: la visione definita della totalità slegata dalla posizione di asimmetria unilaterale occupata dall’individuo.
Inizio con una catena, in realtà un’acatena – una catena esegetica spezzata e non conforme – come l’unico modo concepibile di aprire un discorso sul black metal anti-cosmico, un’arte che procede in accordo a un principio contro l’universo in quanto fondamento dell’ordine, che è il significato di cosmos, e perciò contro l’effettiva possibilità o fondamento del discorso. Ricordiamo che il discorso, che significa logos in quanto circolazione fra esseri (dis-cursus), implica un’immanenza/emergenza dell’ordine, l’attualizzazione di una realtà condivisa come suo mezzo. Solo così la parola si traduce in testo (da texere, tessere), il tessuto di ordine superiore (cfr. “tessuto dell’universo”) prodotto in quanto il filo del linguaggio passa da una parte all’altra attraverso se stesso. Compiendo una tale ontologia discorsiva su una scala cosmica, la Commedia di Dante si realizza nella gioiosa rinarrazione di una visione di una forma universale complessa che assume l’aspetto di un codice autovincolato: 

Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo
(Dante, Paradiso, 33 ,85-93)

Dentro all’impulso anticosmico, la realtà di un tale volume, e con esso lo spazio per parlarne ai suoi margini con toni da commedia, è sia impossibile sia inevitabile. Per il lettore satanico, un tale libro del cosmo è, paradossalmente, esattamente ciò che non può esistere e proprio ciò che deve essere bruciato e disperso nella fornace del Caos in quanto espressione ultima della più orribile eresia: il fatto che qualcosa stia accadendo. 

Deathspell Omega, Fas – Ite, Maledicti, in Ignem Aeternum (Norma Evangelium Diaboli, 2005).

Questo impulso, materializzato nel grido iniziale della traccia di apertura di Anti-Subhuman Scum dei Teutoburg Forest “Seeing God’s Creation, and Despising it” [7], è spiegabile come rifiuto assoluto della causalità originaria che la catena dell’essere manifesta e, più precisamente, come disprezzo della fragilità essenziale o dell’impotenza dell’uno assoluto che non può non creare altri, la non-cosa (Ein Sof) perfettamente incapace di non creare molte cose. Plotino spiega

Orbene, proprio perché nulla fu mai in lui, proprio per questo, dico, tutto deve sgorgare da lui; anzi, affinché l’essere sia, per questo Egli non è ‘essere’, ma solo il genitore dell’essere; e questa che vorrei chiamare ‘genitura’ è primordiale. Mi spiego: perfetto com’è, giacché nulla ricerca, nulla possiede, di nulla ha bisogno, Egli trabocca, per così esprimerci, e la sua esuberanza dà origine a una realtà novella. (Plotino, 1949, V.2.1: 20) [8]

In quanto primo anello angelico e specchio primigenio prodotto in questa emanazione estatica, Satana, secondo solo a Dio, diventa arci-rivale solo e unicamente sulla base di essere arci-altro, il soggetto originale della più intima e intollerabile intersezione tra l’assoluto fatto di Dio e qualcosa che è altro da Dio [9]. In questo il principio satanico è in sostanza l’esperienza inversamente massima della più minimale negazione che si compie nella doppia estasi della creazione, seguendo Pseudo-Dionigi, che scrive che “l’autore di tutte le cose […] va fuori di sé […] e da un luogo appartato che sta sopra tutto ed è staccato da tutto si lascia condurre verso ciò che è in tutti, per questa potenza estatica soprasostanziale che non può scindersi da lui” (Dionigi Aeropagita, 2007, IV, 13: 425). 

Ascoltiamo questo invertito nella voce di un ego: io, effetto dell’universo, sono racchiuso all’interno di me stesso, sono spinto via dal mio luogo trascendente ad abitare al di fuori di tutte le cose, e lo faccio in virtù della mia capacità soprasostanziale ed estatica di rimanere, tuttavia, senza me stesso. Da dove, per chi e per quale fine parla questo essere? Cos’è il discorso di colui che vorrebbe evadere questo incatenamento impossibile, l’estrema separazione del più intimo legame, che non può in alcun modo tollerare il cosmo come il luogo dell’essere? Esiste un logos anti-cosmico che non è “pers[o] tra le chiacchiere altrui, in una notte in cui possiamo solo odiare l’apparenza di luce che da esse ci viene?” (Bataille, 1994: 25). Esiste un’anti-cosmosi conviviale, simposiale, non semplicemente una produzione di rumore contro il cosmo, ma un rumore discorsivo che veramente disfà il cosmo? 

Xasthur, Xasthur (Moribund, 2006).

Parlando con suo nonno riguardo il suono delle sfere celesti, piacevole alle orecchie [qui complet aures meas tantus et tam dulcis sonus], il giovane Scipione apprende il telos gemello di musica e filosofia: 

I dotti che hanno saputo imitare quest’armonia per mezzo delle budelle dei loro strumenti e con i canti si sono aperti la via del ritorno in questo luogo come quegli altri che, grazie d’eccellenza dei loro ingegni, durante la loro esistenza terrena hanno coltivato gli studi divini. Le orecchie degli uomini, riempite da tale suono, sono diventate sorde. (Macrobio, VI, 18-19, 618) 

Il mio Mahapralaya nero inizia al contrario, rende interminabile il mio stesso iniziare, nel parlare mentre ascolto ciò che sono incapace di sentire all’interno del metal dissonante che riempie le mie orecchie mortali [10]. La mia dissoluzione cosmica inizia, perciò, nell’ignorare sia il discorso anti-cosmico dell’occultismo gnostico, che si adorna nella tappezzeria del Caos come un’enorme coperta per bambini ricamata con un sigillo, e il mondo dell’anti-discorso della fandom metal consumista. Li ignoro, rimango coscientemente e volontariamente stupido nei loro confronti, in favore della loro sintesi, pratica e semplice: il piacere di ascoltare e pensare il black metal come esso stesso un’esperienza occulta dell’abisso cosmico [11]. In altre parole, abbraccio come assiomatico il fatto effettivo che il black metal è solo ciò che mi ha già spogliato della banale appartenenza all’universo come il luogo dell’essere, restituendomi all’apparenza il fatto primordiale che la sua esistenza e la mia sono coeve, che ci conosciamo da molto tempo – una sonica “estatica, anelante […] esperienza [che] apre ogni volta un poco di più l’orizzonte di Dio (la ferita), allarga un poco di più i confini del cuore, i confini dell’essere” (Bataille, 1994: 166). Non tanto per il piacere di saper riconoscere il vero black metal dal falso, ma per dire la verità su di esso. 

Arckanum, The 11th Year Anniversary Album (Carnal, 2004). [12]

La struttura anti-cosmica di un tale metallico annerimento fattuale dell’esperienza, che fa sì che l’intero momento della vita soddisfi immediatamente la definizione di fatticità di Quentin Meillassoux come “lo stretto passaggio attraverso il quale il pensiero perviene ad uscire da se stesso […] [e attraverso cui] noi possiamo aprirci un cammino verso l’assoluto” [13] (Meillassoux, 2012: 83) è interamente esplicita nelle definizioni di sé, che vogliono far collassare il cosmo,  di Shamaatae di Arckanum: “Io sono un cosmo vivente e ruotante del Caos. Io non posso esistere in quanto uno e in un solo modo”; “La teoria del caso è una teoria che struttura il mio modo di vivere, io sono teoria del caos in carne e ossa… Io sono la mia stessa influenza” [14]. Che questo sciamano del black metal comprenda se stesso non solo come Caos personificato ma come un’incarnazione, che si auto-origina, della sua stessa teoria, “teoria in carne e ossa”, apre e approfondisce il significato del prematuro commentario anti-discorsivo su questo simposio che, in collusione nemica con i miei stessi scopi nigredici e donchisciotteschi, evoca i problemi intersecantisi del discorso anti-cosmico e dell’occultismo teoretico, lo spazio di relazione fra ciò che non può essere detto e la parola che distrugge. Qualcuno chiamato The Scapegoat, sacrificando la legge per mantenerla, dichiara “the first rule of black metal is that YOU DO NOT FUCKING TALK ABOUT BLACK METAL” [15]. Cum Crémed Guts, che indica la sua ubicazione come “il grembo cosmico dell’abisso” e suggerisce in questo modo la sua stessa primordiale identità con le viscere inseminate della mater omnium, osserva: “pensavo che uno mette l’occulto nel suo black metal e non viceversa” [16]. E Extra Cheese Head trolla il discorso (come una forma di fantasia irrilevante, affetto inautentico e debolezza sociale) in un modo che indica l’autorità generica speciale del black metal come uno spazio grottofilico di rifiuto assoluto: “Sì, penso che Fenriz e altri riderebbero a crepapelle se vedessero questo gruppo di pseudo-misantropi che giocano a D&D riunirsi e tentare di studiare qualcosa di così palesemente anti-tutto come il black metal” [17]. Questi commenti perpetuano sonicamente la stagnazione di una visione separativa e auto-preservante, che mantiene ciecamente l’invisibile in un’eclisse collettiva come unico modo per poterla vedere.

Io qui vedo, nell’oscurità della mia stessa auto-proiezione, una duplicità assurda. Da un lato: amore cultuale per un occulto autentico, l’esperienza di realtà a cui si accede soggettivamente e la cui teoria, diversamente da quella delle scienze che riguardano comunemente i fenomeni osservabili e manipolabili “non può avvicinarsi in alcun modo alla conoscenza diretta in quanto a importanza e significato” (Meher Baba, Discourses, II.102). Dall’altro lato: il fallimento disperato dell’occultista teoretico solitario che, poiché “le realtà occulte sono vincolate a rimanere per loro più o meno nella stessa categoria come descrizioni di terre non viste o opere di immaginazione” (Ibidem), cade perversamente nell’accusare gli altri di ignoranza come ultima opzione o investimento rimanente (dell’io) nella modalità ermetica dell’insegnamento: insegnare a coloro che già sanno [18]. Questa volgare sorveglianza dello spazio dell’esperienza autentica, che tiene sempre chiuso il luogo di incontro di teoria e pratica, scienza e arte, filosofia e poesia, recludendole nella minimamente presente e massimamente interrogabile persona del maestro, a cui solo è accordato il privilegio di una gnosi teoretica, definisce una posizione fatalmente incline a trarre le conclusioni sbagliate dal corpus di Arckanum: che non ci può essere teoria del black metal perché il black metal è carne. Rendendo impossibile il discorso del black metal nella modalità paradossale di una minuscola, patetica illuminazione che potrebbe esporre la sua notte primordiale come la fantasia di un cavernicolo, un tale rifiuto angoscioso dell’annerimento, della potenzialità di scendere nell’oscurità del pensiero tradisce l’assenza di fede nell’impressionante realtà dell’abisso che, comunque la si nomini, è assolutamente divina. [19]

Teutoburg Forest, Chao Ab Ordo (2008).

Questi sono i tormenti di tutti coloro che combattono in solitudine collettiva con terrificanti continuità discontinue e discontinuità continue tra la realtà di ciò che è amato e l’immagine del pensiero. E questo dolore indica la via (indietro o in avanti?) verso la sofferenza superiore, più piacevole, nella quale il nobile amante, il pensatore smodato del De Amore di Andrea Cappellano, colui che ama pensando all’amato (il black metal), sa che “anche amare è necessariamente una speculazione […] un processo essenzialmente fantasmatico, che coinvolge immaginazione e memoria in un assiduo rovello intorno a un’immagine dipinta o riflessa nell’intimo dell’uomo” (Agamben, 1977: 95-96). Questi conosce molto bene la realtà dell’immagine-pensiero in cui si perde e al contempo gode completamente dell’attualizzazione della sua oscurità originale fuori dalla quale lui e il suo stesso essere appaiono in modo bizzarro:

da lì, da dove vivo, il mio pensiero,
quel pellegrino, a te lui fa ritorno,
e mi spalanca gli occhi a un buio nero,
nero che il cieco vede anche di giorno:
dell’anima la vista immaginaria
ai miei occhi ciechi t’offre come ombra,
brillante appeso sulla notte immonda,
che poi la rende bella e originaria.
(Shakespeare, Sonetto 27, vv. 5-12, 2019: 2017)

Qui vediamo l’amorevole e orrenda gnosi speculativa di una coscienza erotica essenzialmente citazionista, l’entità innominabile che, sedendo nell’incatenata libreria medievale del corpo, pratica l’amore verso le cose nello specchio intellettuale dell’abisso cosmico che gli è proprio. 

Mütiilation, Black Millenium (Grimly Reborn), (Drakkar, 2001).

Un tale non solo supera la più alta prova dantesca di autenticità occulta, dimostrando la coscienza della realtà nascosta nella gioia di parlarne [20], ma vola con l’ingenerato sé angelico androgino di Walter Benjamin, Agesilaus Santander, cabalisticamente interpretato dal suo amico studioso Gershom Scholem come un anagramma dell’Angelo Satana (Der Angelus Satanas) [21]. Questo angelo, il cui ideale è un libro che “eliminerebbe tutti i commentari e non consisterebbe in nient’altro che citazioni”, insegna lo sconvolgente discorso citazionista della tradizione vivente che “non è, qui, rivolta a perpetuare e a ripetere il passato, ma a condurlo al suo tramonto in una prospettiva in cui passato e presente, cosa da trasmettere e atto della trasmissione, ciò che è unico e ciò che è ripetibile si identificano integralmente” (Agamben, 1982: 158) [22]. In altre parole, la felice catena satanica, di cui il black metal è già il rantolo dissonante, distrugge il cosmo attraverso la sua stessa catena dell’essere [23], realizzando il presente temporale della parola come capriccio originario dall’oltre [24], chiamato da Reza Negarestani “Incognitum Hactenus – ancora non noto o senza nome e senza origine fino ad ora. […] In Incognitum Hactenus, non si conosce mai lo schema dell’emergenza. Qualsiasi cosa può accadere per qualche bizzarra ragione; e tuttavia, senza alcuna ragione nulla affatto può accadere” (Negarestani, 2021: 92). 

Anche voi arriverete a proclamare che esso è la presenza ultima. [25]

La ‘anomalia a forma di spirale’ vista nel cielo norvegese prima del crepuscolo tre giorni prima di Hideous Gnosis. [N.d.T.]: Pare che questa anomalia celeste, scambiata da molti per l’apparizione di un UFO, non fosse altro che il risultato del fallimento del lancio di un missile da parte dell’esercito russo. 

Traduzione a cura di Lorenzo Curti

Note:

[1] “Interview: Xasthur,” <http://www.anus.com/metal/about/interviews/xasthur/>.

[2] Da qui in poi tutte le citazioni di Meher Baba sono tradotte da noi, come i testi che non hanno una traduzione in lingua italiana.

[3] “C’è una cancrena nei tubi della tua etica vermicolare in come la tua visione del mondo presenta se stessa, contraddizioni in termini rispetto a come la tua vita evolve nella catena dell’essere. Io sostengo che tu non sia mai stato parte della realtà.” (trad. nostra)

[4] “Interview with Teutoburg Forest,” <http://blogs.myspace.com/usbmsarchives> [N.d.T.]: il sito non è più esistente.

[5] “La differenza non accade con noi a piacimento, e di tanto in tanto, bensì fondamentalmente e costantemente. […] Infatti proprio per apprendere che cosa e come l’ente in lui stesso è di volta in volta in quanto l’ente che è, dobbiamo, anche se non concettualmente, già comprendere qualcosa come ‘cos’è’ [Was-sein] e ‘che-è’ [Dass-Sein] dell’ente. […] Non sperimentiamo mai e poi mai a posteriori, in un secondo momento , qualcosa sull’ essere a partire dall’ente, bensì l’ente – dovunque e in qualunque modo vi abbiamo accesso – si trova già nella luce dell’essere. Assunta metafisicamente la differenza sta dunque all’inizio dell’esser-ci stesso. […] L’uomo si trova dunque sempre nella possibilità di chiedersi: cos’è questo? e: è oppure non è?” (Heidegger, 2005: 458)

[6] “Perché io sono io? Una domanda stupida […] Per cui sono troppo stupido per trovare una risposta. E per chiederla, già abbastanza stupido. Qual è il meccanismo di un tale stupido interrogarsi? Immagino un piccolo organo, né dentro né fuori di me, come un arto fantasma polimelico, una sottile appendice psichica impiantata alla nascita dietro la mia corona, durante il momento del mio venire al mondo, in qualunque momento sia esso avvenuto. Questo organo (o appendice, o tumore), la cui infiammazione dolorosa è la disperazione – ‘la disperazione è il parossismo dell’individuazione’ (Cioran) – è come uno strano membro corporeo supplementare, intimo e inessenziale, che posso sentire ma non muovere. Organo stupido, organo di stupidità. Si muove, viene mosso, come una catena inalienabile, solo per rinforzare la sua immobilità. Devo recidere quest’organo, emorragia di ecceità, fuggirlo? ‘La fuga è il bisogno di liberarsi di se stessi, ossia, rompere il più radicale e inalterabile legame di catena, il fatto che io [moi] è se stesso [soi-même]’ (Levinas). Ma chi, allora, fuggirebbe?” (Masciandaro, 2010: 127). “L’essere ci è dato in un superamento intollerabile dell’essere” (Bataille, 2004: 16). [N.d.T.]: La traduzione inglese “The act whereby being—existence—is bestowed upon us is an unbearable surpassing of being” (Bataille, 1989: 41) è citata nella canzone Diabolus Absconditus del gruppo avant-garde black metal francese Deathspell Omega.

[7] “Vedere la Creazione di Dio, e Disprezzarla”. L’assolutezza del rifiuto si marca nel duplice senso del titolo dell’album, che indica allo stesso tempo il posizionamento dell’album, il suo essere contro la feccia subumana, e chiamando anti-subumani coloro che sono contro il subumano in quanto feccia. Drammatizza, nel modo dell’inimicizia, la negazione della negazione, riconoscendo che la vittoria consiste non soltanto nella sconfitta del nemico, ma nel superamento dei termini reali dell’inimicizia e della contesa. Il superamento non è una contesa secondaria, non è una seconda negazione che segue dopo la prima, ma è contigua con essa nel puro olismo del contro (cfr. l’equazione di Bataille della contestazione dell’esperienza e dell’esperienza della contestazione, citato prima). Anti-Subhuman Scum è perciò una dichiarazione di elitarismo assolutizzante, un motore psichico, scaricante odio, della transumanazione. L’umano (il sé in quanto umano) è superato dall’includere se stesso in ciò che rifiuta come inferiore a sé. Si odia la creazione di Dio per diventare un dio – una traiettoria dichiarata nelle note dell’album: “DO YOUR EYES SEE ALL THAT IS? / ARE WE MERE SLAVES BOUND BY EARTH? / OR GODS?” (I VOSTRI OCCHI VEDONO TUTTO CIÒ CHE È?/ SIAMO SOLO SCHIAVI VINCOLATI ALLA TERRA? O DEI?)

[8] [N.d.T.]: Abbiamo preferito la versione delle Enneadi di Laterza del 1949 a cura di V. Cilento, invece che la più recente traduzione per Bompiani del 2000 a cura di G. Faggin, perché in quest’ultima edizione si perde completamente il riferimento al nulla, elemento centrale qui della riflessione di Masciandaro, e dunque per salvaguardare la comprensibilità dell’argomentazione dell’autore.

[9] “Of all the mightes I haue made, moste nexte after me / I make the als master and merour of my mighte; / I beelde the here baynely in blys for to be, / I name the for Lucifer, als berar of lyghte” (The York Plays, 1982, versi 34-37) “Di tutte le potenze che ho creato, la più vicina a me, io ti faccio padrona e specchio della mia potenza; qui ti stabilisco prontamente nella beatitudine, ti chiamo perciò Lucifero, ossia portatore di luce” (trad. nostra).

[10] “Procedendo poi verso il trìtono calante… Trovo ancor più la sensazione di shock che quest’uomo evoca in me [Cfr. ‘What is this that stands before me? Figure in black which points at me” (Black Sabbath, Black Sabbath, dall’album Black Sabbath)]. Questa sensazione, però, è connessa con un tipo di rilassamento segreto, come se fossi approdato al pensiero di poter usare il male in lui per servire il male nascosto in me: sento questa possibilità, questa libertà in me. Ciò che rende il trìtono un diabolus, che è come J. S. Bach l’ha sperimentato, è che dissolve la soglia fra il mondo interno e il mondo esterno e permette al mondo interno non trasformato di operare nel mondo esterno [lo Zarathustra di Nietzsche dice: ‘Per me – come potrebbe esistere un al-di-fuori-di-me? Non esiste un fuori! Ma questo noi lo dimentichiamo in ogni suono che emettiamo; com’è dolce che noi dimentichiamo!’ E gli animali rispondono ‘In ogni attimo comincia l’essere, attorno ad ogni qui ruota la sfera . Il centro è dappertutto. Ricurvo è il sentiero dell’eternità (Nietzsche, 1968: 265 e 266)]. L’impulso della mia intemperata natura interna a realizzare se stessa nel mondo esterno arrogantemente e senza passare attraverso una trasformazione è un aspetto del diavolo, il lato luciferino. L’altro lato è nella tendenza delle realtà del mondo esterno di porre l’intrasformato nel mio mondo interno dove possono ‘polverizzare’ (espressione di Rudolf Steiner) la mia anima, operando profondamente sulle angosce e le compulsioni del mio subconscio dove si stabiliscono come un unico sovrano – questo è il lato satanico (‘Ahrimanico’). Naturalmente, oggi possiamo anche iniziare a percepire debolmente nel trìtono come due mondi che sono diametralmente opposti per quanto riguarda il tempo, il mondo interno e il mondo esterno, si risolvono in una unità quando sono esperiti dall’aspetto dell’eternità – e questa è la vera esperienza atonale del trìtono che il Ventesimo secolo ha iniziato a trovare” (Ruland, 1992: 96).

[11] “L’esperienza spirituale coinvolge più di quanto possa essere afferrato dal mero intelletto. Questa è enfatizzata spesso chiamandola un’esperienza mistica. Il misticismo è considerato comunemente come qualcosa di anti-intellettuale, oscuro e confuso, oppure poco pratico e disconnesso dall’esperienza. In realtà, il vero misticismo non è niente di questo. Non c’è niente di irrazionale nel vero misticismo quando è, come dovrebbe essere, una visione della Realtà. È una forma di percezione che è assolutamente non velata, e così pratica che può essere vissuta in ogni momento della vita ed espressa nei doveri quotidiani.” (Meher Baba, Discourses, I.20). “Il y a un autre monde mais il est dans celui-ci” (Paul Éluard) “C’è un altro mondo ma è in questo” (trad. nostra)

[12] “Nel contesto numerologico lo 0 è il simbolo del grembo del Caos dimensionale di ordine 0, mentre l’1 sta per l’impulso di contrazione (coagula) e di dare forma/ordine del creatore e della creazione cosmica.  Tutti i numeri da 1 a 10 stanno per i differenti stadi della creazione causale ed emanazione, che culminano nel numero 10 che sta per la completezza cosmica. Il 10 significa anche legge, ordine, manifestazione della forma, restrizione, il circolo chiuso che ha intrappolato all’interno di sé le Fiamme del Caos cadute, l’ego/io e la rimozione del Sé Acausale. Undici, che è il numero del Caos Anti–Cosmico, simbolizza perciò ciò che supera e va oltre il 10 cosmico. Undici sta per assenza di legge, libertà, assenza di forma e la rottura del cerchio chiuso. Undici è la porta per il Caos primordiale e la strada attraverso cui l’essenza può trascendere le restrizioni delle forme. Perciò, l’undici simbolizza anche la completezza dell’Evoluzione Anti-Cosmica e la realizzazione del potenziale Acausale, nascosto e oscuro. Il Sigillo a Undici Angoli (il sigillo di Azerate e il Tempo della Luca Oscura) è perciò una manifestazione sigillare della Gnosi che con i suoi undici angoli può aprire la Porta Oscura (Buco Nero) alla libertà Acausale oltre le limitazioni della legge cosmica e dell’esistenza” (<http://www.templeoftheblacklight.net/library/chaosophy/chaosophy.html> [N.d.T.]: sito non più attivo). “Il numero undici, oltrepassando il decimo che è quello della legge e dei precetti [i comandamenti] e restando manchevole rispetto al dodicesimo, che è quello della grazia e della perfezione, vien chiamato il numero dei peccati e delle penitenze. Perciò era stabilito che il tabernacolo contenesse undici cilici, che erano le vesti dei penitenti e di coloro che piangevano i loro peccati. Così questo numero non ha alcun rapporto con le cose divine e con le celesti, né attrazione, né scala che lo guidi verso le cose superiori. Pur non avendo alcun merito, esso ottiene però talora alcuna grazia gratuita dal cielo, come di colui che fu chiamato a undici ore alla vigna del signore e che s’ebbe la ricompensa di coloro che avevano sofferto tutto il dì la fatica e la caldura.” (Agrippa, 1991, p. 50). “In ogni ciclo temporale, che varia dai 700 ai 1400 anni, ci sono undici ere dai 65 ai 125 anni. Dall’inizio alla fine di ogni ciclo, ci sono 55 Maestri Perfetti insieme e questo significa che ogni era ha solo cinque (5) Maestri Perfetti. Nell’ultima, l’undicesima era di ogni ciclo anche l’Avatar (Saheb-e-Zaman) è presente. Oltre i 55 Maestri Perfetti e l’Avatar ci sono anche 56 Majzoobs-e-Kamil in ogni ciclo. Questi Majzoobs, che sperimentano lo stato di fana-fillah, sono i partner ‘dormienti’ o ‘inattivi’ nella conduzione del gioco divino (lila) della Creazione”  (Meher Baba, 1973: 254 [2+5+4=11]). “L’undici è il numero mistico durante il Carnevale”(Fey, 1960: 48). Cyclonopedia inizia con il numero 11: “11 marzo 2004” (Negarestani, 2008: 9); notare che sommando i numeri della data si ottiene comunque il numero 11 (1+1+3+2+0+0+4=11) In breve, il numero 11 è l’enumerazione di ciò che sta oltre il numero: “Dieci e non undici [sefiròth]: così deve essere esclusa dall’enumerazione la cosa nascosta che è al principio di Kèter. Perché, dato che vediamo una fine [di Kèter] all’inizio del cammino della Chokmà, l’uomo immaginerà che Kèter abbia pure un principio. Vi è dunque, al di sopra di essa, una cosa nascosta, che è elevata al di sopra di ogni pensiero e di ogni parola e che non entra in alcuna enunciazione.” (Commentario di Nachmanide, al Sèfer Jetzirà, I, 4, citato in Scholem 1973: 536). [N.d.T]: nell’edizione italiana di Cyclonopedia il passaggio iniziale è tradotto, forse per una svista, “Primo marzo 2004”, scritto in lettere (Negarestani, 2021: 47).

[13] “6.44 Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è.” (Wittgenstein, 1983: 81)

[14] Rispettivamente: <http://www.chroniclesofchaos.com/articles/chats/1-123_arckanum.aspx>, <http://www.bloodchamber.de/interview/a/5/>.

[15] “La prima regola del black metal, È CHE NON SI PARLA DEL BLACK METAL, CAZZO!” <http://www.foreverdoomed.com/forums/>. [N.d.T.]: il sito non risulta più esistente.

[16] <http://www.fmp666.com/forum/>. [N.d.T.]: come sopra.

[17] <http://decibelmagazine.com/forum/>. [N.d.T.]: il forum del sito non è più esistente.

[18] Per esempio: “Dal momento in cui il TOTBL [Temple of the Black Light, Tempio della Luce Oscura] ha raggiunto il numero predeterminato di sorelle e fratelli completamente iniziati, l’adesione è chiusa, ma è ancora nostro compito raggiungere al di fuori e offrire una guida a quei pochi che portano dentro di loro le Fiamme Nere dello Spirito acosmico. Così, mentre non offriamo al momento l’iniziazione nel Sanctum Interno [Inner Sanctum], offriamo ancora parti rilevanti degli insegnamenti Caosofici che crediamo possano condurre gli eletti dei nostri Dèi all’illuminazione della Luce Oscura. I testi presentati su questo sito hanno come loro scopo di mettere alla prova i lettori, confondere la maggioranza debile e guidare gli assai pochi disposti a un lavoro spirituali ad altri, più nascosti punti di accesso verso il cuore vero della Current 218. Un motivo secondario per la manifestazione esterna della Tradizione Anti-Cosmica è di contrastare la sporcizia materialistica senza essenza che viene diffusa in nome di Satana e del Satanismo. Nel presentare una forma spirituale e allo stesso tempo duramente antinomica del Luciferismo Gnostico, speriamo di contribuire a stabilire alternative visibili alla volgarizzazione predicata dai truffatori atei. Incipit Chaos!”. (<http://www.templeoftheblacklight.net/main.html>). [N.d.T.]: il sito non è più esistente.

[19] Id est, la fatticità è Dio. “[Il discepolo chiese al maestro]: ‘Come posso pervenire alla vita sovrasensibile, così da vedere Dio e da intenderlo parlare?’ ‘Se vuoi elevarti un attimo dove nessuna creatura dimora, allora intenderai ciò che Dio dice.’ ‘È vicino questo, o lontano?’ ‘È in te. Se per un’ora riesci ad ammutolire ogni tuo volere ed ogni tuo senso, potrai intendere indicibili parole di Dio.’” (Böhme, 1998: 37) Tat tvam asi: “Essa [la realtà/Atman] sei tu” (Chāndogya Upaniad, 1988, VIII.7: 192).

[20] Sulla questione del rendere autentica l’esperienza occulta, Meher Baba scrive: “le esperienze occulte spesso portano credenziali inconfondibili per la loro dichiarazione di validità, e perfino quando alcune di queste credenziali non sono evidenti, richiedono il dovuto rispetto e attenzione per via del loro significato inusuale, la beatitudine, la pace e il valore direttivo con cui sono caricate […] le allucinazioni ordinarie e i deliri non portano beatitudine straordinaria o pace alla persona che le sperimenta. La beatitudine e la pace che accompagnano le vere esperienze occulte sono un criterio abbastanza affidabile per distinguerle come autentiche” (Meher Baba, Discourses, II, pp. 88-89).

[21] Su Agesilaus Santander, cfr. Wasserstrom, 1999: 206 e sgg.

[22] Per Walter Benjamin “l’ideale era un libro che avrebbe eliminato ogni commentario e non sarebbe consistito in nient’altro che citazioni” (Meltzer, 1996: 162). Perché? Perché “nelle citazioni il vecchio e  il nuovo sono portati alla simultaneità” (Geulen, 2006: 87). “Agli effetti di tradizionalizzazione del commentario, Benjamin […] oppone la citazione come sconvolgimento, che scuote il continuum e che non si risolve in alcuna soluzione di continuità; e, dall’altro lato, la citazione come montaggio […] nella quale i frammenti entrano in connessione per formare una costellazione intelligibile nel presente” (Simay, 2005: 147).

[23] Il come sonico di questa distruzione opera tramite tre forme di rumore nero che si lega a tutti gli oggetti estetici: “Per riassumere, abbiamo una reale intenzione il cui nucleo è abitato da un me reale e un pino dato dai sensi. In più, c’è anche un albero reale ritirato (o qualcosa che noi scambiamo per tale) che giace al di fuori dell’intenzione, ma capace di influenzarla tramite vie a noi ancora ignote. Infine, l’albero sensibile non appare mai nella forma di una nuda essenza, ma è sempre incrostato con varie forme di rumore. In altro luogo, l’ho chiamato ‘rumore nero’, per enfatizzare il fatto che è altamente strutturato, non il tipo di caos informe suggerito dal ‘rumore bianco’ della televisione o della radio. Il rumore nero inizialmente sembra presentarsi sotto tre tipologie. La prima: l’albero sensibile ha qualità fondamentali o essenziali che devono sempre appartenergli e senza le quali non è considerato più la stessa cosa dall’agente intenzionale. La seconda: l’albero ha caratteristiche accidentali che luccicano lungo la sua superficie di momento in momento, ma che non influenzano la nostra identificazione di esso come uno e medesimo. Infine, l’albero di pino è in relazione con innumerevoli oggetti periferici che abitano la stessa intenzione (alberi vicini, montagne, un cervo, conigli, banchi di  nebbia)” (Harman, 2007: 182-183).  Queste tre forme di rumore nero corrispondono alle triplici dimensioni genero-psichiche attraverso le quali il black metal genera se stesso in processione. 1) Le qualità essenziali che appartengono alle entità a costo di non pensarle più allo stesso modo: tali qualità sono dominio dell’Occult Black Metal, che è votato all’occulto (esoterico, ortodosso, cabalistico, apofatico ecc.) e ad accedere a ciò che giace al di là dell’intenzione ma che comunque la influenza tramite vie ignote. 2) Le caratteristiche accidentali che luccicano lungo la superficie di momento in momento: queste sono il dominio del Profane Black Metal (edonista, punk, noncurante) che riguarda l’esporre e il prendere in giro la vita come pura apparenza senza contenuto. 3) L’essere in relazione con innumerevoli oggetti periferici: questo aspetto appartiene allo spazio contestuale gettato del Melancholic Black Metal (il Black Metal dalla bile nera), che si occupa di esprimere le relazioni più profonde e autodissolventi tra le cose, le prossimità abissali fra e all’interno delle entità, legami intimi con ciò che non può essere messo in relazione, il fatto che si è, e così via. Attraverso le risonanze dissonanti all’interno e tra questi tre nodi fenomenici, il black metal scardina con le sue vibrazioni l’ordine delle cose, distrugge tutte le sante trinità con i suoi trìtoni, annichilisce ogni legame della catena dell’essere. 

[24] “L’Oltre unitario è un infinito indivisibile e indescrivibile. Cerca di conoscere se stesso. Non è di alcuna utilità chiedersi perché lo faccia. Tentare di fornire una ragione per questo significa coinvolgersi in ulteriori domande e quindi iniziare una catena infinita di ragioni ad infinitum. La pura e semplice verità riguardo questa spinta iniziale a conoscere se stesso è meglio definita come capriccio (Lahar). Un capriccio non è un capriccio se può essere spiegato o razionalizzato. E, esattamente come nessuno si può utilmente chiedere perché questo sorga, allo stesso modo nessuno può chiedersi quando sorga. Il ‘quando’ implica una serie temporale con passato presente e futuro. Tutti questi sono assenti nell’eterno Oltre. Così lasciateci chiamare questa spinta iniziale a conoscere un ‘capriccio’. Potete chiamarla una spiegazione, se volete, oppure un’affermazione della sua inesplicabilità strutturale. Il capriccio iniziale è completamente indipendente dalla ragione, dall’intelletto o dall’immaginazione, che possono essere tutti definiti dei prodotti di questo capriccio […] Questo capriccio dell’Infinito è in un certo modo comparabile alla domanda infinita, che chiama in causa a sua volta una risposta infinita.” (Meher Baba, 1968: 8-9)

[25] [N.d.T.]: nell’originale è presente un gioco di parole che riprende il passaggio ‘sbagliato’ del pamphlet di Crepúsculo Negro citato nella catena iniziale. Dove Volahn scrive “it’s ultimate presence”, intendendo “its ultimate presence”, che noi abbiamo tradotto “la sua presenza ultima”, Masciandaro gioca riprendendo il passaggio e sottolineandone diversamente il senso proprio come “it is”, “esso è”.

Bibliografia:

G. Agamben, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Einaudi, Torino 1977.
G. Agamben, Walter Benjamin e il demonico. Felicità e redenzione storica nel pensiero di Benjamin, in «aut aut», 189-190, 1982, pp. 143-164.
G. Agamben, La comunità che viene, Einaudi, Torino 1990.
E. C. Agrippa, La filosofia occulta o la magia, vol. II, Edizioni Mediterranee, Roma 1991.
G. Bataille, My Mother; Madame Edwarda; The Dead Man, Marion Boyars, London-New York 1989.
G. Bataille, L’esperienza interiore, Edizioni Dedalo, Bari 1994.
G. Bataille, Madame Edwarda, ES, Milano 2004.
J. Böhme, La vita soprasensibile, a cura di L. Parinetto, Mimesis, Milano 1998.
Chāndogya Upanishad, in C. Della Casa (a cura di), Upanishad Vediche, TEA, Milano 1988.
Dante, La divina commedia, Einaudi, Torino 1954.
Dionigi Aeropagita, Nomi divini, in Tutte le opere, Bompiani, Milano 2009.
G. Fey, Carnival in the Rhineland, in «Folklore», 71, 1960, pp. 48-51.
E. Geulen, The End of Art: Readings in a Rumour After Hegel, Stanford University Press,vStanford 2006.
G. Harman, On Vicarious Causation, in R. Mackay (a cura di), Collapse II, Urbanomic, Oxford 2007.
M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica, il Melangolo, Genova 1990.
Macrobio, Commento al sogno di Scipione, Bompiani, Milano 2007.
N. Masciandaro, Individuation: This Stupidity, in «Postmedieval», vol. 1, 1/2, 2010, pp. 124-131.
Meher Baba, Discourses: https://discoursesbymeherbaba.org/index.html
Meher Baba, The Whim from Beyond, in Beams, Sufism Reoriented, San Francisco 1968.
Meher Baba, God speaks, Sufism Reoriented, Walnut Creek 1973.
Q. Meillassoux, Dopo la finitudine. Saggio sulla necessità della contingenza, Mimesis, Milano 2012.
F. Meltzer, Acedia and Melancholia, in M. P. Steinberg (a cura di), Walter Benjamin and the Demands of History, Cornell University Press, Ithaca 1996.
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere, vol. VI, t. 1, Adelphi, Milano 1968.
R. Negarestani, Cyclonopedia, re.press, Melbourne 2008.
R. Negarestani, Cyclonopedia, LUISS University Press, Roma 2021.
Plotino, Enneadi, vol. III, Laterza, Bari 1949.
H. Ruland, Expanding Tonal Awareness: A Musical Exploration of the Evolution of Con-sciousness Guided by the Monochord, Rudolf Steiner Press, Sussex 1992.
G. Scholem, Le origini della Cabbalà, il Mulino, Bologna 1973.
W. Shakespeare, Sonetti, in Tutte le opere, Bompiani, Milano 2019.
P. Simay, Tradition as Injunction: Benjamin and the Critique of Historicisms, in A. Benjamin (a cura di), Walter Benjamin and History, Continuum, London 2005.
Enrico Suso, Il libretto della verità, Mondadori, Milano 1997.
The York Plays, a cura di R. Beadle, Edwin Arnold, London 1982.
S. M. Wasserstrom, Religion After Religion: Gershom Scholem, Mircea Eliade, and Henry Corbin at Eranos, Princeton University Press, Princeton 1999.
L. Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus, Einaudi, Torino 1983.

 

Nicola Masciandaro è professore associato di letteratura inglese al Brooklyn College. Tra le sue numerose pubblicazioni segnaliamo The Seriality of the One (Anthem, 2025), On the Darkness of the Will (Mimesis, 2018), Sufficient Unto the Day (Schism, 2014), e The Voice of the Hammer (Notre Dame, 2007). Dal 2009 coordina dei Simposi sul Black Metal, di cui Hideous Gnosis è il primo. È curatore e fondatore della rivista Glossator: Practice and Theory of the Commentary. Inoltre, scrive anche poesie e testi sperimentali, che si possono trovare sul blog The Whim.

Parole chiave: black metal, teoria, commentario, catena, anti-cosmosi